Nel mondo della consulenza aziendale stanno prendendo piede alcune teorie che, pur presentandosi come una “rivoluzione” nella strategia d’impresa, si rivelano – se analizzate con occhio tecnico – un miscuglio di concetti finanziari scollegati dalla realtà operativa delle aziende. Il linguaggio è affascinante, il tono seducente, ma per chi – come noi Commercialisti – lavora con bilanci, banche, imprese in crisi o in sviluppo, il contenuto lascia molti dubbi.
Tanta filosofia, poca strategia concreta
Queste visioni presentano l’impresa come un “soggetto etico” che dovrebbe emanciparsi dal sistema bancario e dalla “finanza cattiva”, promuovendo un’idea di “valore umano” sopra ogni logica economica. Ma dietro a termini suggestivi come “economia della vita” o “strategia valoriale”, non ci sono strumenti, né indicatori, né un metodo operativo che possiamo applicare sul campo.
Chi lavora in studio sa bene che l’impresa ha bisogno di numeri, scenari, simulazioni, piani industriali. La strategia non è poesia, ma una disciplina che si studia e si applica. Parlare di strategia d’impresa senza trattare di margini, posizionamento competitivo, struttura dei costi, sostenibilità finanziaria e KPI, significa fare filosofia d’impresa, non consulenza.
L’errore di fondo: demonizzare la finanza e ignorare il mercato
È paradossale: queste teorie dichiarano di voler “liberare” l’impresa dalla finanza, ma poi propongono modelli strategici basati solo su variabili finanziarie (rischio, costo del capitale, rating, ecc.) ignorando totalmente aspetti fondamentali della strategia aziendale come:
• analisi del settore e della concorrenza;
• modello di business;
• innovazione e differenziazione;
• struttura organizzativa e gestione operativa.
In pratica, si vuole costruire una “strategia etica” partendo da un’analisi monca. Ma noi Commercialisti sappiamo che un piano industriale senza dati sul mercato è solo un esercizio retorico. E un’impresa senza strategia competitiva non sopravvive, per quanto “valoriale” sia.
Il rischio per il professionista: diventare testimonial, non consulente
Queste correnti fanno leva sul nostro bisogno – legittimo – di differenziarci, di offrire valore aggiunto ai clienti, di uscire dalla pura contabilità. Ma rischiano di portarci su un terreno scivoloso: quello del “testimone di un’idea”, anziché del consulente strategico.
Il nostro ruolo deve restare quello del professionista che porta strumenti, dati, visione economica e controllo di gestione. Non quello di chi ripete concetti astratti senza poterne misurare l’impatto economico. Se vogliamo aiutare le imprese a crescere, serve rimanere con i piedi per terra, e con la testa nei numeri.
Conclusione: serve concretezza, non dogmi
La strategia d’impresa è una materia seria, che deve unire economia aziendale, finanza, marketing, operations, organizzazione. Non possiamo permetterci di sostituirla con frasi ad effetto o narrazioni ideologiche.
Chi lavora davvero con le imprese – e ogni Commercialista sa di cosa parliamo – ha bisogno di metodi, strumenti, casi pratici. Le parole ispirano, i numeri guidano.