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La differenza tra il Commercialista che sa, e il Commercialista che sa fare (e che guadagna)

Non ci vedevamo da anni.

Ci sedemmo al tavolino del bar, per fare quattro chiacchiere. Il mio vecchio collega di Università faceva oggi il commercialista – mi disse – lamentandosi del settore, del Ministero pazzo, dell’Agenzia delle Entrate burocratica, delle norme incivili, della crisi, della concorrenza sleale, dei clienti che non pagano più come una volta.

Annuii senza commentare, avendo sentito quel ritornello in infinite altre canzoni.

Ci informammo delle rispettive attuali attività professionali.

“Ah, e cosa insegni?” – mi chiese.

Aprii la mia valigetta e gli feci leggere il programma annuale del Master, spiegandogli che era un Corso di specializzazione annuale pensato prioritariamente per i liberi professionisti.

Programma del corso MasterBANK

Giornata

Argomento

1

Bilancio come lo leggono le banche

2

Business plan per start up

3

Analisi di rating sintetico I

4

Business plan per aziende in continuità

5

Analisi di rating sintetico II

6

Parte Qualitativa I

7

Parte Qualitativa II

8

Valutazione di investimento

9

Strategia aziendale

10

Piani economici finanziari

11

Valutazione d’azienda

12

Livello Master Bank

“Ah, certo, sono tutte cose che conosco.” – commentò facendo spallucce, sorseggiando l’aperitivo.

“Non ne dubito che tu sappia queste cose.” – fu il mio commento.

Tutti uguali, i consulenti, pensai sorridendo tra me. Prima regola: non ammettere mai di non saper fare qualcosa.

“E le hai anche fatte?” – aggiunsi, prendendo una patatina – “Per esempio, quanti piani strategici hai scritto?”

I – BILANCIO COME LO LEGGONO LE BANCHE

Non dubito del fatto che un commercialista sappia leggere un bilancio.

Ma lo sa leggere come lo legge un analista di banca?

No, perché altrimenti parliamo due linguaggi diversi, e lui (l’analista bancario) ha il coltello dalla parte del manico. La questione è semplice e riguarda non il sapere ma il saper fare:

 

Sai riscrivere il bilancio in 4 numeri?

 

Non è questione di filosofia.

L’azienda che fece osservare, con quei quattro numeri, che aveva ragione sul cash flow ottenne dalla società di leasing un milione e trecentomila euro, e non gli ottocentomila che la banca aveva inizialmente, sbagliando valutazione, dichiarato come limite massimo.

 

II – BUSINESS PLAN PER START UP

All’imprenditore, non interessa la lezioncina teorica, e nemmeno sentirsi dire cosa dover fare.

A lui interessa solo una cosa da noi: che risolviamo i suoi problemi.

Agli imprenditori che dovevano avviare una serie di micro pale eoliche, finanziandole in leasing, con flussi a rotazione, serviva un modello a crescere di volumi e di investimenti con i ritorni dei flussi di cassa.

 

Sai scrivere un piano di start up da zero?

 

Cioè, disponi di modelli proprietari che, partendo da zero, arrivino dopo le quadrature fonti e impieghi, e sintetizzino decine di tavole in prospetti di conti economici, stati patrimoniali e diversi modelli di flussi di cassa completi?

Se sì, sai fare un business plan di start up (e la banca finanziò le prime pale), altrimenti conosci la teoria.

 

III – ANALISI DI RATING SINTETICO I

Non dubito che tu abbia letto su Il Sole 24 Ore dei rating di Moody’s o Ficth, e che tu sappia che le banche operano con rating.

Ma se non sai darmi la definizione di rating sintetico, e magari pensi che sia quello del San Paolo o della BCC sotto casa, allora non sai nemmeno di non sapere.

Ma il punto è altro:

 

Sai calcolare gli equilibri reddituali, patrimoniali e finanziari?

 

Ah, beh, se pensi che l’equilibrio reddituale sia il differenziale positivo tra ricavi e costi, siamo molto lontani perfino dalla teoria finanziaria.

All’azienda industriale che doveva realizzare un biodigestore anaerobico di diversi milioni di euro, per convincere l’analista di banca, bastarono pochi indici, per far capire che si sapeva parlare il linguaggio della finanza (e fu finanziata dalla primaria banca nazionale).

 

IV – BUSINESS PLAN PER AZIENDE IN CONTINUITA’

Magari ti sarà capitato di partire da zero, in un business plan di start up (e non è banale).

Ma è molto più difficile agganciare il futuro al passato, perché servono connessioni logiche sul piano degli ammortamenti, degli investimenti e via discorrendo, collegando bilanci storici a bilanci previsionali.

Tutti sanno cosa sia un business plan:

 

Sai scrivere i bilanci futuri agganciandoli al passato?

 

All’azienda operante nel settore delle pubbliche utilities non bastava scrivere un budget di ricavi o conti economici previsionali, perché i finanziatori, a partire dall’Ente pubblico maggior azionista, chiedevano prospettive complete, patrimoniali e finanziarie, di lungo termine.

Solo così, venne finanziata.

 

V – ANALISI DI RATING SINTETICO II

All’avvocato che doveva difendere un’azienda industriale in giudizio, non bastavano quattro chiacchiere per smontare la tesi della controparte.

Poiché la causa valeva parecchie centinaia di migliaia di euro, e tutto ruotava attorno alla valutazione di solidità economica, patrimoniale e finanziaria dell’azienda cliente, serviva una perizia tecnica.

Non basta ritenere di sapere quando un’azienda sia bancabile o meno:

 

Sai scrivere una batteria di 30 indicatori in logica bancaria?

 

Perché se lo sai fare, allora l’avvocato del tuo cliente vincerà, come vinse, la causa.

 

VI – PARTE QUALITATIVA I

Qualsiasi commercialista io conosca, almeno una volta nella vita si è sentito porre da qualche cliente la domanda: dottore, mi butta giù due numeri per il business plan, che lo chiede la banca?

E tutti – ne convengo – hanno una idea, o pensano di sapere cosa sia un business plan.

Peccato che un business plan non sia affatto quella roba lì.

 

Sai scrivere un indice organico di parte descrittiva?

 

Se sì, saprai guidare il tuo cliente.

L’imprenditore con il quale ero al telefono ieri sera, discutendo la parte di marketing di un progetto di franchising, mi diceva che aveva commissionato una indagine di mercato a una nota società di ricerca. Di sua sponte, ha aggiunto: sai, non mi va di rispondere alle domande che abbiamo concordato scrivendo le mie opinioni soggettive, ma ritengo di avvalermi di dati ufficiali, raccolti sul sistema di settore e delle principali associazioni di categoria.

Guidare un imprenditore su quella strada non è buttar giù due numeri, perché li chiede la banca.

 

VII – PARTE QUALITATIVA II

Tutti pensano di sapere cosa sia un business plan.

Infatti, se chiediamo ai passanti qui intorno al bar chi debba scrivere quei numeri, novanta persone su cento risponderanno: il commercialista!

Oppure, il consulente, oppure il direttore amministrativo.

E tutti sbagliano.

Lo deve scrivere l’imprenditore, e nessun altro.

Eh, come no! – fu l’obiezione del mio interlocutore, posando il drink – “Lo vai a spiegare tu all’imprenditore mio cliente che fa un pacco di soldi ma ha la terza media e gestisce la pizzeria di famiglia?”

Certo, perché ti mancano gli strumenti di lavoro.

 

Sai scrivere e lasciare al tuo cliente un modello per calcolarsi da solo i margini?

 

Se sì, ti assicuro che qualsiasi imprenditore si metterà a metter mano a quel semplice modello excel, perché è quel che vuole sapere, per risolvere i suoi problemi.

 

VIII – VALUTAZIONE D’INVESTIMENTO

Non conosco un consulente o un commercialista cui non sia stato chiesto un consiglio: dottore, mi consiglia di comperare quella tenuta agricola in Toscana e trasformarne una parte in produzione di energia elettrica da inviare al GSE mediante un sistema di produzione di energia anaerobica?

La maggior parte dei consulenti prende la brochure della società di ingegneria che vuol vendere un impianto da milioni di euro al proprio cliente e darà un generico parere, inventandosi metodologie.

Non vi è nulla da inventare:

 

Sai scrivere una valutazione finanziaria con consolidate metodologie internazionali?

 

Perché se lo sai fare, dirai a quell’imprenditore che il rendimento promesso del 30% è in realtà inferiore a un 5% reale. Poi, veda lui, ma la what if non regge il worst case.

 

IX – STRATEGIA AZIENDALE

Anche l’ingegnere gestionale veneto scriveva nel suo curriculum su internet di essere un consulente di direzione, e parlava di consulenza “strategica”.

Ma alla società di servizi partecipata dall’Ente pubblico non servivano gli aggettivi.

Servivano soluzioni, da presentarsi a una platea diffusa, con i sindacati che volevano sapere, i giornalisti alla porta e i Sindaci dei piccoli comuni pronti a disseppellire l’ascia di guerra.

Quattro numeri di un business plan non sono un piano industriale, e la questione non è discutere di aggettivi, ma di pratica professionale:

 

Hai mai scritto un piano strategico aziendale?

 

Se sì, saprai certamente trasformare un albero dei problemi in un albero di opportunità, delineando l’area di intervento al pubblico in un diagramma.

E in tua presenza, l’assemblea, rasserenata, voterà a favore del piano strategico.

 

X – PIANI ECONOMICI E FINANZIARI

E che ci vuole a scrivere la parola piano economico e finanziario su qualsiasi documento? Qualunque commercialista può scrivere un documento.

Peccato che per una società di revisione o una banca che lo deve asseverare, il format deve rispettare precisi canoni codificati per legge, dottrina e prassi professionale.

La società emiliana con centinaia di dipendenti che doveva fare un’offerta per un Project nel settore del socio assistenziale per rilevare una casa di riposo, non era interessata a conoscere qualcuno che sapesse cosa sia un piano economico e finanziario, ma che sapesse produrlo, in modo che superasse – come superò – il rigoroso esame necessario per parlare con l’ente pubblico.

 

Sai scrivere un PEF?

 

Se sì, saprai certamente discutere di ADSCR con una banca, al variare del tassi, dei flussi, degli spread.

Un gioco da ragazzi, no?

 

XI – VALUTAZIONE D’AZIENDA

Ma io so benissimo fare una valutazione d’azienda! – osservò il mio interlocutore.

Certamente – confermai – con metodi patrimoniali, reddituali o misti.

Peccato che alla società partecipata pubblica nella quale era sindaco il mio amico commercialista e che doveva vendere delle quote non interessava affatto una valutazione a valori di libro, che guardava al passato, ma una valutazione in logica internazionale, cioè finanziaria, che guarda al valore futuro.

 

Sai scrivere una valutazione in DCF analysis?

 

Se sì, saprai sicuramente seguire gli orientamenti internazionali e fare gli interessi del tuo cliente, calcolando valori attualizzati di rendita perpetua, attualizzando il TV (terminal value).

 

XII – LIVELLO MASTER BANK

Ah, ma queste cose funzionano solo con le grandi imprese! – protestò il mio antico collega di studi universitari – E nel mio studio professionale ci sono solo piccole e medie imprese!

Niente affatto – replicai – queste cose sono ormai prassi di tutte le aziende, e l’intero sistema bancario italiano, che segue un ben più forte orientamento internazionale, sta adeguando tutte le proprie valutazioni a questo linguaggio.

Del resto, quanti consulenti pensano di dare consigli nei casi di passaggio generazionale? E come fai a seguire un passaggio generazionale senza saper nulla di consulenza strategica?

Oppure, quanti consulenti di piccole imprese industriali danno consigli sull’innovazione tecnologica o la ricerca e sviluppo? E come fanno a consigliare gli investimenti senza saper farne un’analisi finanziaria, e non contabile?

O ancora – e poi mi taccio – quanti consulenti parlano di internazionalizzazione di impresa? E come possono operare senza saper scrivere un piano industriale completo di pianificazione strategica?

Ci sono milioni di imprese italiane di piccola dimensione là fuori – conclusi – e non stanno cercando la consulenza fiscale, chi gli faccia una dichiarazione dei redditi o chi gli tenga la contabilità (al prezzo più basso).

Sapere e saper fare

Un antico filosofo pare scrisse: io so di non sapere.

Quel pensiero ha attraversato il millenario pensiero del razionalismo occidentale, sino ad arrivare, con innumerevoli versioni ed aggiornamenti, ai tempi nostri.

Mi permetto di aggiungere una mia personale postilla, valida limitatamente all’unico campo nel quale opero con una e una sola specializzazione: i finanziamenti d’azienda.

In quel campo, per un consulente non è importante solo conoscere teoricamente un argomento, ma saperlo affrontare in termini pratici, con modelli finanziari.

All’imprenditore non interessa minimamente il consiglio teorico, il parere o il consiglio improvvisato. L’idea del guru, interpellato al telefono o consultato dopo rigorosa mezz’ora di anticamera in sala d’aspetto trova fondamento nell’ immaginario collettivo ma non nella realtà.

Io conosco imprenditori di piccola dimensione che chiedono cose pratiche, documenti, piani, perizie e relazioni; in altri termini, consulenza.

Nel nostro settore, quello dei finanzialisti, cioè degli aziendalisti specializzati in finanziamenti d’azienda, la consulenza non si improvvisa con consigli volanti, parole magiche o dotto sapere nozionistico recitante questo o quell’articolo o quella circolare.

Io ci metto un anno a formare specialisti nel Corso MasterBANK, perché non basta la teoria, per fare fattura.

 

Non basta sapere; occorre saper fare.

 

Se sai fare, risolvi un problema, altrimenti lo rimbalzi al mittente (che potrebbe rivolgersi altrove).

Quindi semmai l’interrogativo dell’uomo razionale, interessato in termini pratici ad alzare la propria reputazione e per quella via il proprio guadagno, diventa:

 

So di non sapere fare?

 

Lascia stare; l’aperitivo, lo offro io.

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