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La nuova strategia del Commercialista

Secondo il Bulgerman’s Strategy Dynamics Model (adapted from Robert A. Bulgerman), la nostra capacità di sviluppare una strategia dipende anche dal contesto nel quale operiamo. La prima cosa che dobbiamo chiederci è se l’ambiente nel quale operiamo è tendenzialmente stabile, oppure soggetto a cambiamento. Questa prima analisi si chiama analisi dell’ambiente (Levels of rule changes in your environment). La seconda cosa che dobbiamo chiederci è se le singole aziende stanno cambiando il contesto industriale di riferimento del settore (Levels of rule changes by individual companies).

In merito al secondo aspetto, avevo già pubblicato su sito “strumenti per commercialisti” una mia tesi sul “bilancio del pensiero”, che riprendeva un ragionamento di Michael G. Jacobides, professore di strategia alla London Business School, secondo il quale anche le più piccole imprese possono cambiare il proprio mercato di riferimento.

Nel mio progetto di rete professionale, MasterBANK ©, seguendo la tesi di Jacobides, io ho scommesso sul fatto che in Italia anche i piccoli studi dei commercialisti possano cambiare il mercato. Lo penso perché hanno le due cose fondamentali per l’approccio strategico: resources and capabilities. Cioè, hanno sia le risorse sia le capacità per diventare i migliori operatori sul mercato della finanza aziendale; a condizione, come vogliono le regole della strategia, di applicare insieme nella matrice di una organizzazione tali skills.

A questo punto, tornando al modello di Bulgerman, se i commercialisti operassero in un ambiente ligio alle regole e con imprese abitudinarie, sarebbero nel quadrante di un cambiamento limitato dell’industria. Se invece fossero in un ambiente conservatore ma in un tessuto industriale di cambiamento, sarebbero nel quadrante del cambiamento controllato. Se invece fossero in un ambiente in cambiamento e in un contesto industriale in cambiamento, allora sarebbero nel quadrante di un cambiamento industriale indipendente.

Tuttavia, io credo che l’industria dei commercialisti (nel senso terminologico strategico) si collochi nel quarto e ultimo quadrante.

Innumerevoli miei articoli raccontano dei cambiamenti di regole, sia di ambiente sia di tessuto industriale di riferimento, così grandi ed evidenti – basti pensare al cambiamento dell’industria bancaria in Italia e al credit crunch, ma anche ai cambiamenti delle regole tecnologiche, fiscali e burocratiche – da collocarli, ictu oculi, nel quadrante del cambiamento industriale dirompente (runaway, in terminologia strategica).

Alcuni commercialisti, che non mi conoscono, affermano che io parlerei “male” di loro.

Mai nessuna affermazione è mai stata così priva di fondamento, per due ragioni. La prima è che i miei corsi di finanza sono rivolti proprio a loro e non sono fini a sé stessi (come tutti gli altri), ma funzionali ad operare insieme, come rete professionale ad altissima integrazione, in primis di valori etici e deontologici.

La seconda è che i migliori tra loro hanno già deciso di iniziare un nuovo progetto, che partirà venerdì 22 novembre 2019, dal titolo “Strategic Friday”, che sarà un appuntamento mensile destinato allo studio pratico di casi professionali di strategia aziendale, imparando ad usare modelli come quello citato in questo articolo, al fine di tornare a ricoprire quello che dovrebbe essere, a mio avviso, il loro ruolo naturale; non più esattori dello Stato, ma consulenti strategici di direzione aziendale.

Come però per diventare esperti di pianificazione societaria o fiscale ci vogliono anni di studio e pratica, occorre aver l’umiltà di riconoscere che o si sanno applicare, dopo averle studiate, le tecniche e i modelli di un’altra materia, la strategia, oppure si rischia di improvvisare.

Nel primo caso, si mette in conto l’approfondimento pratico, rigoroso e scientifico che, a mio parere, alla fine è quello che paga sempre, almeno in campo professionale.

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