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Come fa un Commercialista a dire al cliente quanto paga il denaro della banca (in 10 secondi)

Dirò subito che questo non è un articolo breve.
Non lo è per una ragione molto semplice; non scrivo per “la rete”, e quindi non mi abbasso alle regole presunte che vorrebbero far credere che i lettori siano una massa informe alla ricerca di nozioni superficiali, financo imprecise, purchè di facile lettura e sintetiche, magari articolate in punti per bambini, nemmeno troppo svegli, disposti a leggere solo un articolo breve o brevissimo. Scrivo a un target definito, il Commercialista, che come tale è, di base, uno studioso, non un commerciante di tappeti.

Se si vuole affrontare seriamente un tema, si deve dedicare ad esso il tempo opportuno per il minimo approfondimento. Anzi, in tal senso dirò che questo articolo non è ovviamente esaustivo, ma introduttivo di una tematica.

 

La tematica

Nelle mie ultime apparizioni televisive, pochi giorni fa, spiegavo al telegiornale al TG COM sul tema Carige di come sia in atto un processo (a mio parere foriero di sventure) di cosiddetta patrimonializzazione del sistema bancario.

In realtà, come scrivo da anni su riviste specializzate, talora in compagnia di autorevoli compagni di firma, come il Presidente di Assopopolari e Vice Presidente ABI, Corrado Sforza Fogliani, assistiamo pavidamente a un processo di creazione di oligopolio del sistema bancario italiano estero vestito, a regia del pensiero unico internazionale. Tale processo non può non avere, per converso, analogo riflesso sulla valutazione da parte del sistema bancario futuro in tema della patrimonializzazione di impresa. Tale questione, e cioè la sostenibilità della struttura aziendale, in merito al rapporto tra le fonti di capitale a diverso titolo, è argomento dibattuto in dottrina da anni.

La differenza fondamentale tra il Commercialista e il mediatore del credito – professione che, per le mie informazioni, andrà nel tempo a sparire, in ragione di molti fattori – è che il primo non cerca per il cliente “il massimo” del debito possibile (perché il suo compenso non è provvigionale), ma si preoccupa di costruire una casa che abbia fondamenta solide.

Come l’ingegnere, il Commercialista deve sapere quindi fare calcoli strutturali di valutazione di solidità delle fondamenta d’azienda.

Conoscete un ingegnere che non faccia calcoli strutturali prima di gettare il cemento?

La questione di base, fondamentale, è quella di valutare le fondamenta aziendali. Qualsiasi attività di consulenza che non muova da tale lavoro è foriero di risultati assolutamente aleatori, nel bene o, disgraziatamente, nel male. Aggiungere del debito a una struttura aziendale è, come scrivo da anni, questione di responsabilità, poiché il debito è, in senso greco, un farmaco, (dal gr. Φάρμακον).

Il primo punto da cui partire nella consulenza è la stima del costo del debito, che a sua volta è un enorme campo di indagine, articolato nella stima del costo retroattivo (o ex post) e del costo futuro (o ex ante). In questo articolo ci limitiamo ad accennare al primo aspetto.

L’utilizzo di dati contabili per la stima del costo del debito

Prima di dialogare con i modelli di rating bancari, rileviamo che nella prassi professionale, ai fini della stima del costo delle passività onerose di una data impresa, si fa riferimento alle grandezze di bilancio. Molti consulenti, per calcolare il Kd (cost of debt) ex ante, per la DCF (discounted cash flow analysis), adottano una strada semplicistica, cioè come stima del Kd ex ante utilizzano il rapporto IP (interessi passivi)/mezzi di terzi, ovvero OF (oneri finanziari)/mezzi di terzi.

Cosa c’è di errato in tale valutazione?

Vale la pena di affrontare questo interessante tema in modo critico; nella prassi professionale si usa fare il rapporto tra la sottovoce 17 “interessi ed altri oneri finanziari” della voce c “proventi ed oneri finanziari” dello schema di conto economico di cui art. 2425 cc, ed il totale delle passività (passività totali meno la voce A del 2424 c.c., ovvero meno il patrimonio netto).

Quindi si usa solitamente la formula:

Cosa non va in questa formula?

Rispondiamo per punti schematici:

  1. Il quoziente OF/MT è una grandezza orientata al passato. I dati ex post, gli interessi passivi, dipendono dai contratti già stipulati magari cinque o sei anni fa, quindi non riflettono la capacità futura dell’azienda di avere credito. Sono cioè il frutto di una valutazione effettuata nel passato, su un merito creditizio non aggiornato. Tutte le componenti che fanno cambiare il rischio di insolvenza, ed il correlato credit spread. Solo quindi ipotizzando uno scenario immutato possiamo pensare che il Kd ex post (sui contratti già in essere) sia adatto ad esprimere il costo del capitale di debito del futuro.
  2. Considera anche fonti non onerose. Si pensi, ad esempio alla voce debiti verso fornitori: abbiamo visto nella riclassificazione finanziaria del bilancio come tali voci dovrebbero essere confluite nel working capital. I mezzi di terzi considerano anche i fondi vari, quindi stiamo considerando debiti non finanziari (es. fornitori) ed altri fondi. Quindi, operando in tal modo, cioè sovrastimando il denominatore del rapporto, il costo del capitale di debito effettivo è sottostimato. In pratica se si rapportano gli oneri finanziari al totale dei mezzi di terzi del patrimoniale, stiamo rapportando il numeratore anche a componenti di finanziamento non onerose, quindi stiamo sottostimando la percentuale, perché il denominatore è sovradimensionato.
  3. La variabile stock. L’indebitamento al 31 dicembre non riflette l’indebitamento medio dell’anno; sono due cose diverse, non è affatto detto che nella pratica siano coincidenti. La grandezza al denominatore (mezzi di terzi) è una grandezza che tiene conto del totale dei finanziamenti onerosi a fine esercizio e che quindi non riflette accuratamente la dimensione dei finanziamenti medi in corso di anno. Ad esempio, vi sono aziende che per politiche di bilancio effettuano importanti piani di rimborso di debiti a fine anno. In tale esempio, il rapporto OF/MT sovrastima il costo del Kd (costo del debito).
  4. La variabile flusso. Il rapporto oneri finanziari / mezzi di terzi vede al numeratore un valore flusso ed al denominatore una grandezza stock. Allora gli interessi passivi del numeratore non sono direttamente correlati con la grandezza stock dei debiti al denominatore. Non c’è una correlazione diretta. Magari l’azienda ha già pagato gli interessi passivi su un debito dell’anno prima e non ha invece ancora pagato gli interessi passivi su un debito che ha contratto quest’anno. Non è detto quindi che la variabile flusso al numeratore (OF) sia logicamente riferibile al totale dei finanziamenti di fine periodo (e contabilizzati nello SP). Alcuni contratti possono prevedere ad esempio di interessi posticipati nell’esercizio successivo.
  5. Mancanza di considerazione delle commissioni. Gli interessi passivi non tengono conto delle commissioni. In altri termini gli interessi passivi di conto economico tengono conto solo della remunerazione fissata contrattualmente, ma non considera oneri accessori, non considera i covenants e la deducibilità fiscale degli interessi passivi.

E’ quindi ora chiara la limitatezza di tale indicatore, che pure viene con una certa frequenza usato nella prassi professionale.
Per tale considerazione, in quale ipotesi si possono usare i dati contabili storici con il rapporto OF (oneri finanziari)/MT (mezzi di terzi) come stima del debito ex ante?

Ipotizziamo, in tale assunto, 3 ipotesi concomitanti:

OF / MT è indicatore corretto se

  1. Tassi di mercato invariati
  2. Rischiosità impresa invariata
  3. Mix risorse finanziarie nella struttura finanziaria invariata

Si tratta ovviamente di ipotesi forti, che rendono di fatto molto limitata l’applicazione dell’indicatore come stimatore rigoroso ed affidabile del costo del debito.

In tutti gli altri casi si utilizzerebbe infatti un costo del capitale cui attualizzare i cash flow futuri prospettici disomogeneo rispetto al reale profilo di rischio.

Occorre tuttavia rilevare come vi siano nella prassi casi in cui non si dispone di informazioni utili per stimare il rendimento effettivo a scadenza della azienda, né informazioni di dettaglio sulla scomposizione delle fonti di finanziamento.

Un consiglio operativo di prassi professionale

A questo punto del ragionamento, intendo regalare un consiglio professionale ai molti commercialisti e consulenti che mi leggono, poiché è sufficiente modificare la formula (anche con l’uso di strumenti quali fogli di lavoro elettronici tipo Excel), per avere uno strumento di semplice lettura e analisi.

In questi casi il quoziente OF/MT è un indicatore apprezzabile, anche perché non sono disponibili informazioni più attendibili del costo del debito, alla condizione che sia corretto da alcune rettifiche, che tengono conto delle riflessioni critiche sopra esposte. Allora, per calcolare un rapporto corretto di valutazione del Kd (costo del debito) ex ante, è necessario apportare 3 correzioni, in quanto il rapporto Oneri finanziari/Mezzi di terzi non è uno stimatore efficiente e rigoroso del costo di debito.

Allora occorre apportare a tale quoziente 3 rettifiche. Quali sono infatti le conseguenze dei nostri rilievi?

Correzioni:

  1. al numeratore, occorre integrare gli interessi passivi con le commissioni. Cioè si deve integrare la voce 17 del conto economico con la voce 14 (oneri diversi di gestione). Occorre quindi leggere con rigore ed attenzione la nota integrativa del bilancio d’esercizio.
  2. il rapporto corretto non è IP / MT, cioè oneri finanziari (interessi passivi) su mezzi di terzi. Il rapporto corretto è IP t (rettificati come al punto 1) sui mezzi di terzi dell’anno precedente, cioè su MT t-1, quindi rapportando gli IP dell’anno t ipotizzando pagamenti posticipati.
  3. nei mezzi di terzi, al denominatore, occorre considerare solo le passività onerose (non i fondi ed i debiti fornitori, non i fondi imposte, non il fondo TFR), incrementate anche dei debiti leasing.

Quindi, la formula che risulta è:

Dove :
Kd ex ante = stima del costo di debito
IP t = costo di interessi passivi integrati dalle commissioni ed oneri, dell’anno t
MT t-1 = solo debiti onerosi, meno fondi e debiti fornitori, e con aggiunta del debito leasing, dell’anno t-1

 

Conclusioni teoriche

Naturalmente, la formula precedente è solo l’inizio di un ragionamento, che in diversi anni mi ha condotto a costruire formule più complesse, basate su calcoli di statistica descrittiva elementare (media, devianza). Tuttavia, le applicazioni professionali dei miei modelli partono dal ragionamento di base sopra esposto.

Il costo del debito appare un concetto da valutare sotto differenti profili di analisi.

In primis, occorre considerare come il costo del debito non coincide con il solo tasso di interesse; in effetti lo contiene, ma contiene anche altri elementi di costo, ed una più ampia valutazione deve considerare altri due effetti, cioè l’effetto dello scudo fiscale del debito (il trattamento fiscale asimmetrico delle fonti di capitale) e l’effetto dei costi di oneri, commissioni ed altri costi vari (comprese altre clausole contrattuali e covenants).

Occorre osservare come si debba ragionare in termini di TAEG e TAN per esprimere i costi annui delle operazioni.

Inoltre occorre ampliare il ragionamento, complicandolo con un secondo profilo di analisi, e cioè le relazioni intercorrenti tra il costo effettivo ex post ed il costo ex ante del debito.

I fattori finanziari che mutano nel tempo, e non consentono di considerare assimilabili il costo del debito ex post e quello ex ante, sono sia il credit spread sia il tasso risk free delle operazioni finanziarie. Seguendo tali ragionamenti, si è osserva come il valore contabile non coincide con il valore mercato del debito. Da tali ragionamenti, si conclude con la necessità di usare metodologie affidabili di stima del debito ex ante, ed in particolare si sono introdotti i concetti di sistemi di rating. Tali sistemi sono di gran lunga più affidabili di alcune metodologie empiriche di stima del costo del debito, quali ad esempio taluni indicatori di bilancio usati in prassi professionale, che possono essere usati con cautela e con opportune correzioni, riconoscendone la limitatezza in termini di indicatori rigorosi ed affidabili del costo del debito. Esistono allora stimatori rigorosi del costo del debito retroattivo e prospettico?

E’ un tema complesso che necessita di passare dal piano teorico a quello professionale.

Applicazioni professionali

Le considerazioni esposte nelle pagine precedenti sono un breve estratto di nozioni da me trattate a livello di lezioni universitarie in diverse Università italiane da ormai circa 15 anni, in qualità di docente. Tuttavia, appare evidente il fatto che tali nozioni di base siano da sviluppare per svolgere l’attività professionale.

Esiste la stessa differenza che intercorre tra il frequentare un corso di laurea in medicina e lo specializzarsi in una delle molteplici sue discipline professionali, operando sul campo.

Nella mia professione, il Finanzialista, è necessario passare da un livello di base, come quello proposto in questo articolo, a un livello evoluto, applicabile nella prassi professionale (vedi www.masterbank.it).

Per esempio, bello conoscere la definizione di mezzi di terzi finanziari; ma come si calcolano in pratica le variazioni di bilancio di tali poste e, soprattutto, come si quadrano in termini di rendiconto finanziario?

O ancora; bello stimare il costo del debito con una formula sintetica, ma sarà compatibile professionalmente con la variazione di cassa, con le quadrature tra financial flow e unlevered cash flow, tra variazioni di cassa patrimoniali e di rendiconto finanziario?

 

 

Conclusioni

In questo articolo ho voluto accennare al più semplice dei temi professionali, poiché nei prossimi mesi e anni, per ragioni che spiego sulle riviste specializzate da Economy a Banca Finanza, nonché in interventi radio e televisivi e su quotidiani italiani, assisteremo a un nuovo tipo di credit cruch, che definisco asimmetrico, dato che colpirà le imprese in modo inversamente proporzionale alla dimensione.

Pertanto, le micro e le piccole imprese saranno di gran lunga più colpite dalle modifiche del mercato, rispetto alle medie e grandi. Se quindi il Commercialista che mi legge ha, tra i clienti del proprio studio, solo multinazionali, appare probabile ritenere che queste siano pronte al cambiamento epocale in corso, che vedrà il sistema bancario italiano parlare questo linguaggio (semplicemente perché le banche che ne parlavano altro saranno fuse per incorporazione e nuovi modelli direzionali saranno adottati).

Se invece i clienti del suo studio sono di dimensione media (imprese con almeno 50 dipendenti) o piccola (fino a 50) o micro (meno di 10), sappia che la probabilità di accesso a finanziamenti bancari, da innumerevoli dati statistici ufficiali, dimostrano che questa è inversamente proporzionale alla dimensione.

Questo è il problema, per i professionisti che assistono piccole e micro imprese (la maggioranza).

Ma, come in ogni periodo di crisi – che in greco antico come noto porta dietro la radice etimologica del cambiamento – sappia che emergono grandi opportunità. Coloro che investiranno la propria conoscenza su questo mercato si troveranno improvvisamente, in poco tempo, a disporre non solo di strumenti professionali atti a mantenere i propri clienti (e quindi barriere cognitive all’ingresso di concorrenti), ma anche un mercato vergine e inesplorato di centinaia di migliaia di imprese italiane che vagheranno alla ricerca di soluzioni professionali, dove la concorrenza è quasi inesistente.

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