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3 cose che deve conoscere un Commercialista che tratta di finanza

Eravamo in agosto camminavamo in cinque, sulla stradina sterrata, in un altro mondo. Talora, anche in uno dei posti più civilizzati del mondo, basta allontanarsi per un quarto d’ora da una qualunque città per entrare in una porta spazio temporale.

C’erano i due della banca.

In giacca e cravatta regolamentare – come me pinguino vestito – camminavamo con una qualche attenzione a non calpestare un qualche reperto organico animale, giacché era anche un percorso per cavalli. Oddio, chiunque ritenga che la campagna faciliti la discussione invece del traffico cittadino, forse non ci è mai stato davvero, in campagna. Io ci ho vissuto per circa trent’anni e quindi non mi disturbava affatto la cacofonia delle cicale, miste ai rospi del vicino ruscello e allo sciame degli insetti tra i rovi. Si vedeva invece che i due bancari – soprattutto il romano – erano un po’ a disagio, e tendevano ad alzar la voce per far prevalere l’umana su quella degli altri animali.

Davanti stava l’imprenditore agricolo, in tenuta sportiva, che orgogliosamente faceva vedere ai due bancari la proprietà, dopo la riunione di rito nella sala riunioni della moderna cascina.

Dietro, a una certa distanza, venivamo il responsabile della tenuta – una sorta di economo, di origini contadine – ed io. Mi stavo in qualche modo divertendo ad osservare le dinamiche comportamentali di una trattativa di banca, e, nonostante il caldo infernale, non ero nemmeno a disagio nel mio abito monacale da consulente. La mattina avevo avuto l’ultima delle ultime riunioni in Università prima della pausa estiva, ed ero molto lieto di stare in mezzo alla natura, se pure non nell’abito adatto.

La manica della giacca mi venne tirata, ad un tratto, e l’economo della tenuta avvicinò la bocca al mio orecchio, iniziando a parlare in dialetto.

 

Il linguaggio

Questa mattina stavo dando consigli ad alcuni importanti uomini politici in tema di ricerca e sviluppo. Il linguaggio usato in questi consessi è spesso molto lontano dalla realtà dei campi, perché spesso non si conoscono.

Quando poi, tra circa un’ora e mezza, incontrerò un Rettore di Collegio Universitario, il dialogo avverrà su un piano di comunicazione differente da quello del mondo politico. Oggi pomeriggio invece, quando farò il colloquio di ammissione a un commercialista che mi ha contattato in privato su Facebook per chiedere di entrare nella mia aula di Master Bank, il linguaggio diventerà tecnico, professionale.

Quando infine oggi leggerò il Sole 24 Ore, troverò parole inglesi ad argomentare di SMEs, cioè di piccole e medie imprese e quando parlerò con qualche responsabile di giornale di Economia, mi chiederà se è pronto l’ultimo mio pezzo sulle PMI.

E nessuno di tutti costoro – politici, professori, consulenti, giornalisti – si rende conto che, in Italia, le piccole e medie imprese, statisticamente, non esistono. Esistono le piccole e le micro imprese.

Ma – con loro, con le piccole imprese – non di rado bisogna capire e saper parlare in dialetto.

Cosa, dunque, aveva di così importante da dirmi l’economo, per tirarmi la giacca tra i campi e bisbigliarmi in un orecchio, come se non bastassero le cicale a coprire il suo tono cospiratorio?

 

Il dialetto e le cicale

Avevamo avuto una riunione preliminare in azienda – una azienda agricola – nella sala riunioni della cascina. Aveva il nome di una donna, la cascina, ed era a corte quadra, come tante dalle mie parti. Ma la cascina non è l’azienda. L’azienda, se si parla di agricoltura, sono i campi.

Se tu vuoi far finanziare un’azienda, devi chiedere alla banca di visitarla, per tutta una serie di argomentazioni e tecniche che spiego nei miei Corsi. Visitare l’impresa può significare vedere capannoni industriali, un magazzino prodotti, linee di imbottigliamento artigianali, un albergo, una clinica o, come in quel caso, campi di granturco. Dopo mesi di trattative – stiamo parlando di un investimento che superava abbondantemente un paio di milioni di euro – quello era il giorno topico. Il responsabile di area della banca – una delle primarie banche nazionali – aveva chiesto ed ottenuto la visita del responsabile fidi che veniva dalla sede centrale di Roma.

Forse non tutti sanno che, oltre un certo valore di delibera, gli uffici fidi delle banche oggi hanno delle analisi centralizzate. Il processo decisionale non avviene in periferia. Noi, eravamo nelle Gallie.

Il decisore, parlava in romano.

Non proprio in latino, ma noi gallici tra le pannocchie ci sentivamo nettamente inferiori, forse per una sudditanza psicologica che risale a ricordi ancestrali; come altro un Paesino della mia Provincia, che si chiama Lu Monferrato. Un amico esperto di storia mi spiegò un tempo che, a differenza di quanto trovate su Wikipedia se lo cercate, la spiegazione più accreditata sembrerebbe risalire a un numero, e cioè LV, che nel tempo rimase fino alla dizione moderna, ma che in latino significa cinquantacinque. Sembrerebbe – siamo nel campo delle interpretazioni e non della certezza – che ci volessero altrettanti giorni, per una legione romana in assetto di guerra, per arrivare a piedi da Roma a qui, magnis itineribus (a tappe forzate).

Per le strane connessioni che alle volte avvengono tra i circuiti elettrici ed energetici che chiamiamo cervello, mentre l’economo mi tirava da parte per bisbigliare in dialetto gallico (ve lo traduco) “sa chl’an dich chìl là?” (cosa hanno detto quelli là?) – indicando con il naso il romano e il suo collega – mi sovvenne la frase latina “magnis itineribus dux in Galliam pervenit” (il comandante giunse in Gallia a tappe forzate).

Così, con lontani e adolescenziali ricordi sempre legati alle cicale, quando sotto gli alberi di frutta di casa mia traducevo il libro ottavo del De Bello Gallico, spiegavo in dialetto del basso Piemonte al mio simpatico interlocutore (un ometto più vicino alla settantina che alla decade precedente), che “quelli là” avevano accettato di finanziarci, accogliendo le nostre richieste (all’epoca ero un temporary manager di parte finanziaria della cascina e mi recavo più o meno settimanalmente a far una giornata di consulenza).

L’ometto ascoltava le mie semplici argomentazioni, ma non sembrava convinto. Lo vedevo infilarsi le mani nelle braghe dei pantaloni, sotto l’abbondante camicia a quadri che doveva aver conosciuto tempi migliori. Seguivamo l’imprenditore che continuava a parlare, una decina di metri più avanti, raccontando ai due bancari di tecniche di produzione, acri e resa per ettaro, come gli avevo raccomandato di fare. Più dietro, l’ometto non sembrava affatto capacitarsi del fatto che tutto stesse andando, come gli stavo spiegando, a gonfie vele, e scrollava la testa pensieroso.

Al che, gli chiesi per quale ragione fosse così turbato.

Mi prese nuovamente da parte e, con un tono a metà tra il devoto che confessa una colpa al prete in confessionale e il cospiratore che sta meditando di pugnalare il duce romano là davanti alle idi di marzo, così mi apostrofò: “…ma dim’an po’; ma sech’lèl capex?”.

Ma dimmi un po’; ma che cos’è il capex?

Le cicale sorrisero con me.

Carisma e sintomatico mistero

In ogni mondo, anche nel mio – la finanza d’azienda – esiste un mondo parallelo. E’ il mondo dei simposi, dei seminari, dei meeting, dei work shop, dei convegni. Quel mondo parla un linguaggio per addetti ai lavori, rigorosamente in inglese, nel quale solo pochi si comprendono.

Sia chiaro, è tutto una recita.

Lo si fa apposta, è solo un codice di riconoscimento.

Il Romano, là davanti tra i campi di granturco, probabilmente non aveva compreso di non trovarsi a un corso d’aggiornamento alla Bocconi, pagato rigorosamente dalla sua banca. O, forse, lo aveva capito benissimo – or che ci penso aveva perfino la mascella quadrata, il naso adunco e la fronte volitiva – e forse per questo aveva pensato di stabilire un codice comunicazionale di superiorità con noi gallici plebei.

Lo si fa apposta – dicevo – per usare un codice da iniziati. Se un gruppo di medici decide di non far capire le cose ai pazienti, può riuscirci con grande facilità, parlando un linguaggio esclusivo, e non inclusivo. La stessa cosa è possibile, però, in qualsiasi professione.

Dirò di più; sono certo che il mio simpatico amico gallico avrebbe ben potuto parlar di vigne, erba medica, basilico e granturco usando termini tali da non far capire nulla ai due bancari, se solo avesse voluto. Personalmente, ritengo che capire la metodologia di semina di un campo non sia cosa più difficile o semplice di produrre un corretto business plan; sono solo due campi – letteralmente – diversi.

Il mondo che io frequento abitualmente come l’Università, ma anche la politica, il giornalismo economico, l’associazionismo d’impresa e diversi altri, usano sovente il linguaggio per addetti ai lavori al solo fine – e diciamolo! – di darsi un tono, un codice di riconoscimento reciproco.

“C’è chi si mette degli occhiali da sole
per avere più carisma e sintomatico mistero”

 

Il nostro romano aveva solo indossato – avrebbe detto Franco Battiato – gli occhiali da sole. Peraltro, in quella afosa giornata avrebbe avuto più senso, se avesse fatto il gesto fisico e non metaforico.

Ma l’Italia non è affatto composta, come scrivono e dicono in tanti, di piccole e medie imprese. Non esistono, le PMI, in Italia, statisticamente.

Esistono le piccole e micro imprese, e sono milioni.

Non mi risulta frequentino abitualmente simposi e work shop, raramente si documentano su Milano Finanza o il Sole 24 Ore, eppure sono quella fetta del nostro Paese che produce la maggior parte del prodotto interno lordo italiano.

Tornando a noi, quel signore di origini contadine attendeva che gli dicessi cosa sia il capex.

 

Stat rosa pristina nomine

Molti consulenti, commercialisti, manager e imprenditori visitano questo blog. Lo leggono, lo studiano, si iscrivono e scaricano le guide gratuite, senza mai mettere un like, lasciare un commento, emettere un vagito. Poi, dopo tanti mesi che mi leggono, mi contattano in privato, su Facebook, dicendomi di seguirmi da lunga data.

E non potevi contattarmi prima? – rispondo io.

Naturalmente, so benissimo perché non lo fanno; perché tutti noi pensiamo male del prossimo, e vediamo, soprattutto in chi non conosciamo di persona, un possibile truffatore.

Taluni di loro mi chiedono poi, timidamente, quasi fosse un peccato mortale, informazioni sul Corso di specializzazione annuale in finanziamenti d’azienda; MasterBANK. Poi, al telefono, mi chiedono se le cose che io insegno servano solo alle grandi imprese o anche alle piccole e medie imprese loro clienti.

Al che, io so benissimo che stanno mentendo a sé stessi, come tutti quelli di cui sopra, perché statisticamente quasi certamente non avranno clienti medie imprese (per la definizione comunitaria sono le imprese da 50 a 250 addetti), ma più probabilmente piccole e micro (fino a 50 e fino a 10 addetti, rispettivamente).

Ma so dove vogliano andare a parare. Nella loro testa la domanda è; ma questo Corso spiega ciò che serve alle multinazionali, alle aziende dei convegni alla Bocconi, oppure è adatto anche ai miei clienti dello studio, che sono certamente artigiani, piccoli imprenditori, magari ristoratori o esercizi commerciali?

Al che, io rispondo pacatamente al telefono – magari dopo che mi hanno scritto già tre volte sul sito – che le regole della negoziazione bancaria valgono per tutte le imprese, e che già oggi le banche esaminano in questo modo le aziende, come io ho potuto sperimentare su centinaia di piccole e micro imprese mie clienti.

Va da sé che taluni di loro, dopo avermi ringraziato della risposta, si informino andando a contattare sul gruppo Facebook altre persone che mi conoscono, ponendo la stessa domanda, evidentemente non fidandosi della mia risposta.

Orbene, care Signore e Signori, sono io a invitarvi a informarvi, ma direttamente alla fonte; lo scorso anno si è tenuto il primo Corso di MasterBANK, al quale hanno partecipato manager, commercialisti, consulenti e imprenditori. Se volete avere una referenza che risponda alla domanda precisa – “posso usare quegli strumenti anche nella mia piccola azienda / aziende clienti?” – vi fornisco l’elenco di coloro che hanno concluso con successo il percorso e il loro telefono: chiamate chi volete voi e avrete le risposte non da me, ma da chi ha investito del denaro.

Ma il mio amico restava sempre a guardarmi con le mani in tasca, aspettando di sapere cosa fosse il capex.

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tememus (resta la rosa nel suo nome primigenio, deteniamo solo i nomi delle cose), scriveva il compianto autore della mia terra, Umberto Eco, ne “Il nome della rosa”.

 

Il CAPEX

Il CAPEX, o CapEx, è un’abbreviazione inglese.

Un commercialista che non sappia rispondere alla banca in un secondo a questa domanda è fuori dai giochi, nella negoziazione bancaria del suo cliente, come se non sapesse incredibilmente rispondere a termini come “term sheet” oppure “covenants” o ancora “ADSCR”, e molti altri.

Nello specifico, il suo significato è spiegato alla guida numero 35 (Glossario di Negoziazione Bancaria) che potete scaricare liberamente e gratuitamente iscrivendovi a questo blog. Vi invito dunque ad andare a leggere quei termini, ormai di uso corrente nella prassi commerciale di negoziazione bancaria.

E’ del tutto inutile illudersi che siano cose “per addetti ai lavori” o cose “per le grandi imprese”, perché stanno entrando – e sempre più entreranno – nelle prassi negoziali normali, diventando termini comuni come meeting oppure week end.

Il punto è un altro, perché non basta frequentare un corso di lingue; non basta conoscerne il significato in italiano, occorre anche saper calcolare le quadrature connesse all’uso di una parola, durante una trattativa.

Quello che avete appena letto in figura è la pagina 292 di uno dei 12 manuali che compongono il Corso pratico, nel quale si spiega come si calcolano le cose, con strumenti operativi come modelli di excel; la parolina magica che deve quadrare è Capex, cioè capital expenditures (spese in conto capitale).

Orbene, quello è un passaggio essenziale delle valutazioni di azienda, delle valutazioni di investimento e via discorrendo, ma occorre calcolarlo anche per una pizzeria. Non contano i valori in gioco, ma i processi, indipendentemente dagli zeri.

Cioè occorre avere un modello per saper costruire il proprio business plan, una cosa così fondamentale e basilare che si studia sin dalla seconda giornata del Corso. Ma quando scrivo “si studia” intendo dire studiare le soluzioni tecniche da me adottate su casi pratici come la cascina dal nome di donna, tradotte poi in modelli di calcolo personalizzati, in tanti anni di pratica professionale sulle micro e piccole imprese.

Per saper rispondere, occorre dotarsi di strumenti di lavoro pratici, che rispondano in due ore a cose che necessitano anni per essere sviluppate in modo professionale, partendo – come feci io – da zero.

Una volta compresa la logica, non sono i valori che contano, perché possiamo parlare di un investimento di 14 milioni, come nel caso precedente, oppure di poche decine di migliaia, come in questo:

Non sono gli zeri che contano, ma la logica.

Ma come può un consulente, in mezzo a un campo, tra le cicale, spiegare tutto questo a un altro essere umano, un cliente, il quale non ha certo né tempo né voglia di seguire un corso di un anno?

 

Parla come mangi

Ho origini contadine, di cui vado fiero.

Sin da quando ero bambino, sono abituato a interloquire con persone semplici, e a pensare che non è la zappa o la cravatta a fare di una persona un essere intelligente.

In quel momento – voglio dire quando il mio agreste amico mi posa la domanda – passava un grande trattore tra i campi.

Il Capex? – chiesi a mia volta indicando il mezzo in lontananza – E’ quello il capex.

L’ometto aggrottò le sopracciglia, inizialmente confuso. Guardò i due bancari che ascoltavano l’imprenditore parlare delle coltivazioni, delle linee e delle rese per ettaro, poi il trattore; infine volse ancora lo sguardo verso di me:

Se’t vori dì? (che cosa vuoi dire?)

El tratur! – spiegai – Ai son i sold per i tratur (il trattore; ci sono i soldi per i trattori).

Quando l’ometto delle Gallie comprese quel che aveva detto il bancario romano, e cioè che ci avevano finanziato le richieste che lui come economo aveva fatto, cioè i trattori, i mezzi agricoli e di trasporto connessi alle nuove coltivazioni, allargò le braccia come lo spaventapasseri in fondo al campo ed esclamò, guardando con odio Giulio Cesare:

El pudiva nenta parlé n’Italian? (e non poteva parlare in italiano?)

 

La battaglia

Ho rinunciato, da tempo, a scrivere su questo blog secondo le regole decise da altri. Ho abbandonato da tempo il copy commerciale (ma perché dovrei copiare da altri?) e allo stesso tempo rifuggo – all’opposto – il linguaggio paludato e auto referenziante di colleghi in Università, che pensano che il mondo sia quello dei lunch, dei workshop e dei meeting.

Tanto, il lettore è intelligente e capisce benissimo che il fine dei primi è solo quello di venderti un prodotto e quello dei secondi il porsi in logica di esclusione.

A me interessa invece farmi capire, perché là fuori c’è una battaglia quotidiana.

Magari il lettore non la conduce nelle Gallie e forse si trova nella piana di Canne, ha un’azienda di produzione di energie rinnovabili a Napoli o un’azienda di produzione di caciotte nel tavoliere delle puglie. O forse, come il commercialista che mi deve contattare al telefono tra poco, svolge la sua professione in una città della Sicilia.

Non importa.

Qualunque sia il luogo in cui svolgete la vostra attività, vi troverete nell’immediato futuro in una situazione conflittuale, per quanto di natura commerciale. Il mondo della finanza sta andando in quella direzione e – credetemi, faccio consulenza anche al mondo politico – noi italiani non possiamo farci nulla.

Per vincere quella battaglia servono due cose.

La prima è una profonda conoscenza della materia, che non si ottiene leggendo due libri da bancarella o frequentando un seminario coi crediti formativi, guardando il cellulare perché l’unica ragione per la quale siamo lì è accumularli, mentre la nostra testa pensa ad altro urgente in studio (conosco professionisti che li scelgono tra quelli dove puoi firmare il registro e tornare subito in ufficio).

Per saper risolvere i problemi appena accennati nelle immagini che ho pubblicato, ci sono voluti per me anni di sviluppo di modelli su casi pratici, e per voi ci vorranno mesi di pratica professionale e aziendale per applicarli e farli vostri.

La seconda cosa è una capacità di applicazione pratica nel mondo delle imprese. L’Italia non è fatta delle aziende che vengono prese a campione statistico dagli studi di Confindustria, dalle ricerche universitarie o dalle indagini dell’ABI.

L’azienda del mio agreste amico gallico non entrerà mai in nessun campione statistico, come altre milioni di aziende italiane. Potete essere commercialisti o manager napoletani, pugliesi o veneti, e vi renderete conto di una asimmetria informativa; un mismatching, direbbe l’analista fidi della banca, indossando gli occhiali che donano più carisma e sintomatico mistero.

Da un lato, il linguaggio internazionale chiede oggi di conoscere non solo l’inglese (il che sarebbe solo un fatto linguistico), ma anche la prassi operativa di pratica professionale ad essa collegata, perché la fonte è tipicamente anglosassone e, per ragioni complesse che spiego nel blog, domani il sistema bancario italiano dipenderà totalmente da tali logiche.

Chi non impara quelle logiche di analisi, sarà fuori mercato, sia come professionista, sia come manager.

Dall’altro, quel linguaggio paludato non è adatto alle nostre imprese, dove tanti imprenditori ancora parlano il dialetto, producendo e sviluppando business di successo in ogni periferia della nostra penisola.

L’inglese il dialetto e le cicale

Il lavoro di quelli come me – e di quelli che vogliono entrare nella mia rete professionale – è quello di interpreti tra due mondi: la modernità e la tradizione millenaria.

In tanti mi chiedono allora se frequentando il mio Master possano poi gestire concretamente la propria piccola impresa o far consulenza alle piccole imprese del proprio studio o alle imprese che vengono ai Corsi Win The Bank e poi chiedono consulenza.

Ma pensate davvero – mi verrebbe da rispondere – che io mi ponga in concorrenza con i grandi studi internazionali, le grandi società di consulenza o i nomi blasonati della consulenza riservata alle multinazionali?

Una cosa, so per certo; i consulenti di quelle grandi realtà non potranno mai venire a farvi concorrenza nella vostra zona, a consigliare il vostro cliente che ha un albergo da ristrutturare, una piccola azienda di produzione di latte o l’allevatore di olivi.

E la ragione per la quale non potranno mai farlo è che non capirebbero.

Per loro, le aziende sono le multinazionali, i casi scuola studiati sui libri inglesi, o le grandi imprese italiane che hanno messo la sede in altri Paesi per non pagare le tasse.

Non capirebbero la logica – prima che il linguaggio – che sta dietro a chi ogni giorno continua, nonostante tutto, a investire nella propria terra.

E per me, che vengo dalla terra, la vera soddisfazione non è scrivere un business plan o un piano economico e finanziario.

Quelli, sono solo i ferri del mestiere; tecnica e pezzi di carta.

Il vero valore è, alla fine della visita della banca, sedersi coi miei clienti, la camicia sbottonata e la cravatta ripiegata nella tasca della giacca.
Allora, guardando i campi nel tardo pomeriggio, tra due risate, un bicchiere di vino e due fette di salame, vedo ciò che saranno quei pezzi di carta, e cioè cose concrete. Quella, è la soddisfazione vera.

Tanti miei clienti non parlano l’inglese, e si conversa talora ridendo in dialetto, tirando a far sera. Mi è capitato dovunque negli anni, in Italia.

In quei momenti, guardando i campi, i capannoni o gli autocarri, mi sento bene, anche se non c’è l’aria condizionata delle sedi metropolitane delle grandi società di consulenza.

Saranno i ricordi delle mie modeste origini.

O, forse, il canto delle cicale.

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