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Perché il Commercialista non ama il Business Plan

Perché il Commercialista non ama il Business Plan

 

Da alcuni anni, da quando curo il blog Win The Bank, affronto il tema della negoziazione bancaria. Se l’imprenditore deve possedere cultura finanziaria e avere un corretto comportamento finanziario, è chiaro – ictu oculi – che per una serie di ragioni, prima delle quali la specializzazione, egli non possa avere tutte le competenze finanziarie.

Queste sono le prime “3C” della mia teoria, che ho anche recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore BancaFinanza, nella quale ricordo che la quarta e ultima “C” è la Comunicazione finanziaria.

Anche se è di moda lo sport del “tiro al commercialista”, di solito da parte di estensori di manuali presunti salvifici nei confronti del povero cliente fiscale, non mi aggrego a tale – pure redditizio – diletto di marketing.

La ragione è che il commercialista è il naturale depositario della consulenza aziendale, prima, e della comunicazione finanziaria, poi. Solo che – questo il punto – per fare consulenza e comunicazione in materia finanziaria non ci si improvvisa; occorre avere metodi e strumenti.

Uno dei pareri che, più frequentemente, verranno chiesti al commercialista, sarà senza dubbio, per ragioni connesse al cambiamento internazionale delle regole bancarie, quello dell’estensione di un documento chiamato genericamente “business plan”.

Solitamente, il commercialista è apostrofato dall’imprenditore con un “dottore, mi serve un business plan per la banca, quando addirittura non è un terzo, per esempio un mediatore del credito, a far la richiesta. Ergo, un’attività saltuaria, spesso sottopagata o – non di rado – pretesa a titolo gratuito (pena la paura di perdita del cliente), viene svolta senza particolare entusiasmo e cura.

Quale errore strategico!

In realtà, ciò che, sbagliando la pianificazione strategica dello studio, viene comunemente vista come un “disturbo” (conosco amici commercialisti che sarebbero disposti a pagare per levarsi il fastidio), è non solo un lucro cessante, ma financo un danno emergente. Infatti, tale approccio nuoce non solo al mancato incasso di interessanti margini di consulenza, ma anche danneggia il prestigio e l’onorabilità dello studio stesso.

L’errore più comune è pensare di improvvisare o di risolvere con approccio da autodidatta la cosa, magari comperando un paio di libri o software comunemente rinvebili in commercio.

La ragione tecnica per la quale sconsiglio tale approccio è una, essendo stato prima di tutto io stesso un consulente, per tanti anni: cosa risponderete all’analista della banca o al consulente che vi chiede un chiarimento sui risultati del “software”?

Di certo, per serietà e onorabilità professionale, non potrete rispondere – di certo, non davanti al vostro cliente! – che quel dato o quel risultato “lo dice il software”. Sarebbe come andare da un cardiochirurgo e sentirsi rispondere, a precisa domanda sulla tecnica di intervento, che “lo dice il macchinario”. Molti di noi, cambierebbero medico.

DOTARSI DI STRUMENTI PROPRI

Al contrario, occorre dotarsi – per tempo, non certo alla bisogna – di propri modelli di costruzione del business plan, dei quali si siano studiate, costruite, monitorate e verificate tutte le formule.

Ad esempio:

 

Qualora il consulente, il dirigente di banca o l’analista fidi vi chieda cosa contiene la voce degli “altri flussi di cassa operativi netti”, saprete rispondere.

 

SAPERE COMUNICARE I RISULTATI

Saper costruire un modello è una cosa, saperne spiegare i risultati in riunione, altra.

Gran parte della vostra reputation si gioca sul presentare il progetto del vostro cliente. Appare quindi necessario che i vostri modelli siano adatti a una rappresentazione chiara dei progetti. Per esempio, è certamente più semplice, anche visivamente, proporre una sintesi dell’investimento per macro voci di ammortamento.

Tenete presente – lo dico da ex valutatore di progetti – che ci legge ama l’analisi ma anche la sintesi riassuntiva, al fine di avere un quadro riepilogativo facilmente adatto a fare una relazione, una memoria o una perizia.

A titolo di esempio, molto banalmente sarà utile avere modelli riassuntivi dell’investimento, semplici e chiari, che consentano immediatamente di apprezzare l’articolazione dello stesso.

A titolo di esempio, si veda la seguente grafica, che sintetizza al lettore il risultato di centinaia di righe di voci di spesa.

 

 

TEMPO E CASSA: le difficoltà logiche

Ma la vera difficoltà che registrano molti commercialisti nella stesura di questo documento deriva da due difficoltà tecniche. Posso riassumere queste due difficoltà nelle due dimensioni che caratterizzano la difficoltà di approccio, perché inusuale per chi è abituato alla logica contabile e fiscale.

Si veda la figura 1.

Il commercialista è abituato, da una vita, a produrre documenti che hanno una logica retroattiva, poiché si basano su dati contabili assodati, e una logica di reddito, perché legati alla dimensione fiscale. E’ veramente un salto quantico, per taluni di loro, produrre documenti con logica prospettica, poiché si basano su dati di budget e una logica di cassa, perché legati alla dimensione dei finanziamenti d’azienda.

Si badi bene, non sto parlando solo di una mera difficoltà filosofica o emozionale; parlo di oggettive difficoltà tecniche.

Per esempio, occorre conoscere perfettamente le equazioni che legano talune dinamiche finanziarie.

Si veda la dimostrazione algebrica che lega la PFN (posizione finanziaria netta) con i FCF (free cash flows).

 

Parimenti, si deve calcolare sia il reddito sia  la cassa come due variabili ben distinte.

 

 

Addivenire ai due risultati indicati nelle due precedenti figure non è certamente cosa banale, né risultato interpretativo di poco conto.

Infine, occorre conoscere approfonditamente le diverse configurazioni di cassa e saper dimostrare le quadrature, le equazioni che le legano, i diversi risultati interpretativi.

 

CONCLUSIONI

Esiste un mercato redditizio, di sicuro interesse consulenziale.

Probabilmente molti commercialisti che si stanno facendo la guerra tra poveri, al ribasso dei prezzi delle contabilità, in un mercato saturo e altamente competitivo, non si rendono nemmeno conto di avere nel giardino di casa (o in quello limitrofo) una miniera. Tale miniera di consulenza, tuttavia, non può essere affrontata senza la dovuta preparazione e senza strumenti adeguati, pena la perdita di reputation, che uno studio di adeguato standing non può certamente permettersi di rovinare.

Naturalmente, tutti coloro che sono avversi al cambiamento, alle novità e alla sola idea di affrontare tematiche specialistiche diverse da quelle ordinariamente praticate, troveranno mille scuse per contestare tale opportunità. La più diffusa è certamente quella a me ben nota, in varie, notorie, sfumature; non è il mio mercato, andrà bene per altri ma non per me, io ho solo clienti piccoli, la mia zona/provincia/area è diversa, e via discorrendo.

Sono un cumulo di patetiche scuse che ascolto in ogni area d’Italia, da molti anni, smentite dai fatti.

Là fuori, ci sono milioni di piccole imprese che, per ragioni legate ai repentini cambiamenti del mercato, in primis quello bancario, chiedono consulenza finanziaria e di pianificazione dle futuro. Tale mercato non è presidiato, né è presidiabile, dalle grandi società di consulenza, per ragioni di posizionamento e pricing.

Quel mercato è di naturale appannaggio di tutti quei commercialisti i quali – disposti a studiare e praticare per dotarsi di strumenti, metodologie e tecniche adatte ad affrontarlo scientemente – otterranno vantaggi competitivi essenzialmente rinvenibili in due ambiti.

Il primo è quello del reddito, poiché le consulenze specialistiche saranno quelle meglio retribuite in futuro. Il secondo è la reputazione, poiché lo specialista acquisice una invalicabile barriera all’ingresso e una più alta considerazione della dignità del proprio lavoro di libero professionista, a prescindere dal valore della fattura che la incorpora.

 

 

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