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Il Commercialista che deve cambiare vita (professionale), deve rinunciare a un ingrediente

L’Avvocato dell’ufficio contratti della grande società pubblica di Roma lesse la lettera con attenzione, quel pomeriggio, nell’ufficio in penombra.

“Ne è sicuro?” – mi chiese, posando gli occhiali sulla scrivania.

Al mio cenno di conferma, aggiunse: “In trent’anni di servizio presso questa società, è la prima volta che mi succede di vedere uno fare una scelta del genere.”

Più tardi, il Direttore Operativo mi prese da parte: “Ma sei sicuro?” – mi chiese – “Ma quando ti ricapita un’occasione del genere? Guarda, ho l’autorità per dirti di mettere la cifra che vuoi sul rinnovo triennale della carica.”

Confermai per la seconda volta la mia decisione di lasciare la Presidenza della società del Gruppo, facente parte di una importante società pubblica, che oggi si chiama Invitalia, perché semplicemente avevo dei nuovi progetti professionali.

In serata, prima di avviarmi alla stazione, passai a salutare l’Amministratore Delegato, che mi aveva convocato.

“Professore, visto che a quanto pare le sue dimissioni sono irrevocabili e non è un fatto di soldi, mi può togliere ora una curiosità?” – mi chiese con tono confidenziale, sulla soglia del suo ufficio al sesto piano – “Ma lei, alla fine, in quota a chi era?”

Ora, per chi non è avvezzo alle logiche delle cariche pubbliche romane, la frase si traduce così; “tanto, ormai che te ne vai, mi puoi dire, per sapermi regolare in futuro, quale potente uomo politico ti aveva messo a presiedere una delle società del mio Gruppo, prima che arrivassi io?”

“A nessuno.” – risposi – “Sono venuto qui segnalato da un head hunter, come esperto di industria privata.”

Ricordo ancora oggi l’incredulo manager esplodere in una franca risata.

Non lo avevo mai visto ridere prima, in tanti mesi.

Risi anche io, per solidarietà.

Lui rimase convinto che – le regole in quegli ambienti sono quelle – fossi stato raccomandato da chissà quale potente, e io decisi che non valeva la pena togliere le belle credenze a un essere infelice.

Basta poco, per far contente le persone.

 

Una questione di prezzo

Tutte le persone hanno un prezzo, si dice.

Questa, almeno, era l’opinione del Consigliere personale del noto uomo politico locale, che stava leggendo la mia lettera sul tavolo.

Anche questa volta, come nel racconto precedente, mollavo tutto e me ne andavo, con tre mesi di anticipo, rinunciando a tre mesi di consulenza cui, per contratto, avevo diritto.

Stavamo parlando anche in questo caso di cifre di tutto riguardo e, soprattutto, di rinunciare a un altro rinnovo per il triennio successivo.

Il consigliere tirò una boccata nella sigaretta, incurante del divieto, e poi sospirò, accennando a un sorriso tranquillizzante rivolto più all’uomo politico, che a me:

“Valerio ha voglia di scherzare, tira solo un po’ sul prezzo” – commentò – “non vorrà certo buttare a mare cinque anni di esperienza, così!”

L’uomo politico leggeva, scuro in volto.

“Scrivi qui la cifra per rimanere…” – mi disse sorridendo il consigliere, avvicinando con noncuranza un foglio bianco.

L’uomo politico alzò gli occhi, si tolse lentamente gli occhiali da lettura, ripiegò la mia lettera, guardò per un istante il foglio bianco, poi i miei occhi.

Infine, scosse la testa.

 

Cambiare vita

Per mia esperienza, cambiare vita si può.

Esiste solo un grande ostacolo al cambiamento; l’abitudine.

Nei due racconti, lasciavo due lavori importanti e ben retribuiti per iniziare nuove progetti. In sostanza, lasciavo il certo per l’incerto.

Conosco persone che non hanno cambiato settore per tutta la vita. Io, per esempio, iniziai la mia vita professionale dalla finanza agevolata, dopo un’esperienza parlamentare che mi aveva portato in Commissione Parlamentare sulle politiche comunitarie. Terminata, per mia scelta, a 29 anni, l’esperienza politica – mi sentivo troppo vecchio, ormai – decisi di mettere a frutto quelle conoscenze quinquennali in quel settore, nel mondo privato.

In quel momento, conobbi molti consulenti che si formavano in quel tema.

Parliamo, però, di venti anni or sono.

Anni dopo, io decisi di cambiare settore, perché vedevo segnali che sarebbe andato in crisi il modello europeo dietro al quale il mondo della finanza agevolata era stato costruito.

Conosco molti ex colleghi che sono rimasti nei loro studi, immobili, a veder ridurre ogni anno le agevolazioni pubbliche, pur di non prendere atto del fatto che, semplicemente, a non voler migrare in altro campo avrebbero fatto la fine dei dinosauri.

Molti, sono oggi in via di estinzione.

Dove si siedono le persone

Da oltre vent’anni, insegno.

Una cosa che mi insegnarono allora i miei maestri – solo gli idioti si improvvisano formatori senza anni di pratica – è osservare dove si siedono le persone.

Avete mai fatto caso al fatto che, se per esempio un Corso dura tre giorni, le persone al secondo e al terzo si siederanno nello stesso posto del primo?

Potrei dirvi che nei Corsi universitari che tengo da ormai dodici anni, nei semestri, cioè su periodi di lezioni più lunghi, osservo la stessa dinamica.

 

Le persone tendono a sedersi nello stesso posto.

 

Perché?

Perché è umano cercare la serenità, la stabilità e la certezza.

Vi è chi cerca un lavoro dipendente, e trova sicurezza dal vedere per trent’anni le stesse persone, fare lo stesso tragitto e vedere le stesse cose.

Vi è chi invece afferma di fare il libero professionista, e poi per trent’anni si reca nello stesso studio, con gli stessi colleghi, le stesse segretarie, a studiare le stesse cose, anche se il Ministero quest’anno ha cambiato le regole, costringendolo magari a fare gli straordinari in agosto.

Io non vedo, sinceramente, una sostanziale diversità, in termini di libertà personale.

Anzi, se la devo dire tutta penso che i primi siano più liberi, se non altro per via delle ferie e delle malattie pagate.

Le persone non cambiano posto perché comporta stress.

Figuriamoci lo stress che può comportare lasciare il certo per l’incerto.

Ci sono poi persone che non sono nemmeno capaci a decidere di aggiungere qualcosa, cioè non a rinunciare e sostituire, ma semplicemente aggiungere qualche cosa che – senza cambiare la loro professione – potrebbe cambiare loro la vita professionale.

Ovviamente, vi è un prezzo da pagare, non solo economico, ma in termini di impegno.

Tuttavia, se vi dicessi di leggere e ascoltare in questo blog le testimonianze pubbliche rilasciate da coloro che hanno frequentato Master Bank, il corso di specializzazione in finanziamenti d’azienda, scoprireste, se ascoltate con attenzione, che quelle persone che oggi vi parlano della loro soddisfazione e del loro successo, hanno tutte una cosa in comune.

 

Cambiare vita comporta sempre la rinuncia a un fattore determinante,

che non sono i soldi o il tempo.

 

Quindi, di cosa si tratta?

 

Ma lui è un teorico

I miei detrattori, da tempo, mi criticano perché io sarei un teorico, dato che sono – anche – un professore. Sono lieto che chi non mi conosce affatto sappia dare un giudizio così netto su di me.

Io, che dovrei dopo cinquant’anni di vita avere una conoscenza abbastanza approssimativa di me stesso, non saprei invece come definirmi.

Quando mi guardo allo specchio, ripensando a ciò che ho fatto – criterio di molti per chiedersi chi sei – divento confuso.

Io ho iniziato per prima cosa facendo il politico locale, per poi fare il politico nazionale, quindi ho mollato tutto e mi sono messo a fare prima il formatore, quindi il free lance, poi il ricercatore nelle ricerche di mercato, ma poi il consulente privato di finanza agevolata avviando e gestendo tre società, e poi anni dopo il consulente pubblico, quindi il manager pubblico, poi il manager privato, quindi il consulente di associazioni imprenditoriali, poi il docente in banche, in confidi, poi in enti pubblici, quindi ho iniziato in Università, quindi sono stato amministratore di società pubbliche, e poi ho fatto il consulente di impresa a scopo di lucro e poi di enti non a scopi di lucro.

 

Quindi, ciò che fai dice ciò che sei?

O, forse, ciò che hai dice ciò che sei?

 

Ho insegnato in diverse Università e Dipartimenti di diritto, di economia, di scienze politiche, e oggi insegno a contratto in diversi Corsi di Master e di Laurea.

Ma non sono certamente un docente della pubblica amministrazione, perché non sono un dipendente e non vivo di quello. Nemmeno vivo più di politica, pur continuando a fare il consigliere economico nel mondo politico a livello nazionale. Non vivo nemmeno di quest’altro.

Mi guadagno da vivere con un progetto d’impresa che si chiama WIN the BANK, per il quale ho mollato per l’ennesima volta nella mia vita tutto e tutti, dedicandomi a una cosa che tre anni fa era definita folle e di impossibile riuscita, a detta di molti.

In età adulta, ho scelto di fare ciò che più mi piaceva, esattamente ciò che volevo fare nella mia vita, dopo tanti anni di ricerca.

E oggi, a dispetto del fatto che non è possibile realizzare i propri sogni, le proprie ambizioni, nel solo prossimo mese devo tenere conferenze a Firenze, poi Roma, quindi Bologna, Milano, Verona e non ricordo più dove altro.

E allora, ciò che siete si chiama essere un commercialista, un consulente aziendale, un manager, oppure si misura in ciò che possedete, in quel avete in banca?

Io penso che la risposta si debba cercare altrove.

Essere e divenire

Non voglio scomodare Parmenide, o nemmeno Eraclito.
I finanzialisti, cioè gli aziendalisti specialisti in finanziamenti d’azienda che hanno seguito i miei Corsi a Master Bank, il corso di specializzazione annuale, hanno sentito spiegare il bilancio in modo completamente diverso dalla logica fiscale, che è immobile, ex post.

Hanno sentito invece parlare di liquidità, di tempo, di velocità di circolazione dell’acqua.

 

 

 

Tutto, nella vita, scorre.

Alzi la mano chi, di noi, si sente uguale a quello che era cinque, dieci o trenta anni fa.

Magari non ce ne accorgiamo perché apparentemente facciamo le stesse cose, ma anche il commercialista che da vent’anni identifica sé stesso con quel titolo, faticosamente raggiunto, non è lo stesso uomo o la stessa donna di allora.

Se io leggo il mio curriculum scopro che da quando lavoro – da circa 25 anni – ho svolto circa 15 professioni diverse e ho cambiato lavoro quasi altrettante volte, come sopra ho solo accennato.

Quindi, non mi sento affatto un professore, perché non insegno da venticinque anni nello stesso posto, come non mi sento un manager o un libero professionista o un piccolo imprenditore.

Io sono io, e basta.

 

Voi siete voi, e basta.

Ma ciò che siete voi in questo momento, non è ciò che eravate un tempo.

Questo è l’unico criterio sensato di identificazione del sé. Se vi sentite in armonia con il vostro essere, allora siete a posto, altrimenti siete nel posto nel quale non dovreste più stare.

 

HIC ET NUNC (QUI E ORA)

 

Sentirsi nel posto giusto al momento giusto.

Qui, e ora.

 

Hic et nunc

Conosco commercialisti che fanno oggi quella professione perché l’avevano visualizzata negli anni ’80 o ’90, in un certo modo. Vedevano le piante di ficus, e gli imprenditori che si alzavano in piedi dicendo “buongiorno dottore”, e le segretarie con gli occhiali, come recita la famosa canzone del cantautore romano.

Ma qui e oggi non è la stessa cosa.

Quei sogni non si sono affatto realizzati; non per colpa loro, ma perché è cambiato il mondo intorno a loro.

La loro unica colpa è cercare nella stabilità, nella consuetudine, nell’abitudine, una sola cosa: l’equilibrio.

 

La vita è solo un equilibrio sopra la follia.

 

Ma chi deve decidere del mio equilibrio? – questo è il punto, di cui tratta un altro immenso cantautore.

Per quanto mi riguarda, non i bandi di un dipartimento, né le campagne elettorali, né le norme di finanza agevolata fissate da un governo, né le norme sul fisco stabilite da un oscuro burocrate romano.

Per una, una sola ragione, cantata nella medesima memorabile canzone.

 

Per vivere davvero ogni momento.

 

Eppure, quanti di noi sono abituati a vivere nella nostalgia, nel passato?

Troppa fatica investire in un Corso di un anno che cambierà la loro vita professionale – lo dicono i miei ex allievi nelle loro testimonianze pubbliche, non io – e per molti di loro appare “ormai troppo tardi”.

Così, tanti continuano a fare i mediatori del credito in un mondo che ha perso in vent’anni il 40% del numero di banche e che nel prossimo quinquennio perderà rispetto ad oggi il 90%, o i consulenti di finanza agevolata in un mondo che potrebbe abbandonare l’euro nello stesso periodo, o i commercialisti in un mondo nel quale si illudono che un domani il Ministero sia meno “pazzo” o “irrispettoso” o l’agenzia delle “Entrate” sia più trasparente.

E tutti costoro si fidano dei giornali e continuano a credere che, prima o poi, la crisi finirà.

L’anno che verrà

Da anni, ci continuano a dire che l’anno che verrà andrà tutto meglio, saremo tutti ricchi e sarà Natale tutto l’anno.
Ma non sarà così, e non finirà la crisi, per il fatto che non esiste nessuna crisi.
Esiste – lo spiego in decine di articoli sul blog – solo un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico.

 

Cambiamento

 

Ecco l’unica parola che dovrebbe farci riflettere.

Possiamo realizzare noi stessi in un mondo che cambia, se noi non siamo disposti a cambiare?

Noi, cambiamo in ogni momento. Ci sono culture che, rivolgendosi al “ciò che siamo”, usano il “noi” e non il “me”, consci del fatto che siamo miliardi di cellule.

Non so – perché non ho quella conoscenza – cosa sia avvenuto alle mie, da quando ho iniziato a meditare su questo articolo, ma sono cambiate.

Ergo, il mio io di un paio d’ore fa non è più lo stesso di ora.

Dobbiamo cambiare; eppure conosco persone che non cambiano modello di libera professione da vent’anni, anche quando i risultati economici dicono, di anno in anno, che quella scelta è fallimentare, perché aumentano i costi fissi, restano i costi di programmi, sofwtare, dipendenti in contabilità, e invece cresce la concorrenza sleale e si riduce il mercato vero, quello che paga (e non quello che ti fa lavorare per nulla, la domenica).

E ancora, davanti a tutto ciò, ci sono persone che, anche dopo le testimonianze di altri, anche dopo aver visto il business plan dell’investimeno (vedi articolo “come si compra”), anche dopo aver razionalmente compreso che non sono davanti a un farabutto o un illetterato, eppure ancora dubitano.

Non decidono.

E rimangono a scrivermi candidamente che mi leggono da sei mesi, otto mesi, un anno, e scaricano tutte le risorse del blog, rigorosamente gratuite.

E non decidono di investire, mai.

 

Perché le diete si iniziano il lunedì

Perché non decidiamo mai, e rinviamo al lunedì la dieta o di smettere di fumare?

La prima motivazione è la mancanza di elementi razionali, come quelli del citato articolo “come si compra”, nel quale un essere senziente valuta con criteri finanziari se gli convenga o meno investire in un progetto.

Ma non è la sola spiegazione.

Esiste una seconda motivazione, che è il cuore del messaggio di questo articolo.

Per la mia esperienza personale, tutte le volte nelle quali ho dovuto abbandonare qualcosa, decidere, cioè etimologicamente tagliare qualcosa, lasciare qualcosa, ho dovuto fare i conti con me stesso.

La cosa più difficile da dire a sé stessi è una sola, probabilmente:

 

Hai sbagliato.

 

Ah, come è facile dire quella frase a un’altra persona!

Ma provate a dirla allo specchio.

Ed ecco l’ingrediente che bisogna abbandonare nelle nostre decisioni:

 

L’orgoglio.

 

L’orgoglio mi blocca, sempre.

Parlo per me, perché quando devo decidere se cambiare ruolo, specializzazione, competenza, entra sempre in gioco, e mi chiede, subdolamente, allo specchio: “Ma come, ma non eri così sicuro? Allora vuol dire che hai sbagliato!”

Non è semplice per un commercialista – che debba decidere se investire in Master Bank – ammettere che lavorare sessanta ore la settimana per fare dichiarazioni contabili per clienti che pagano dopo sei mesi non sia il massimo della vita professionale, e che probabilmente – a conti fatti – la donna delle pulizie che pulisce lo studio guadagna in termini netti una cifra oraria superiore alla retribuzione del titolare.

Capisco che molti commercialisti e consulenti si sentiranno offesi da questa brutalità, ma io riferisco solo ciò che osservo, da anni.

Osservo che non è razionale affermare che un Corso “costi troppo”, se da un lato chi afferma tale cosa è un commercialista o un consulente che dovrebbe conoscere la differenza tra costo di gestione e investimento. Appare poi del tutto illogico se tale professionista sostiene solo per il proprio abitudinario giro d’affari costi di addette contabili, software di contabilità, aggiornamenti, assicurativi e via discorrendo che – sempre a conti fatti – sono almeno cinque o sei volte superiori al costo di tale investimento; con l’aggravante che sono costi ripetuti, perché di gestione, dall’altro.

Ma l’orgoglio, quella targhetta sulla porta con il titolo “dott.”, non è razionale.

La vera molla che spinge la persona a cambiare – lo dico per aver ascoltato le dichiarazioni dei miei ex allievi – non è però solo economica, ma di libertà.

Se ascoltate le loro dichiarazioni, la molla è la voglia di tornare a fare il vero mestiere per cui hanno per tanti anni studiato, cioè il consulente.

Non il gabelliere dello Stato, l’erogatore di servizi contabili o di paghe e contributi!

Ma, per comprenderlo, non basta arrivare al punto di rottura.

 

Il punto di rottura

Tanti anni or sono – ero in vacanze all’isola d’Elba – il mio istruttore di sub mi confessò di aver mollato tutto a Milano (era direttore vendite di una nota azienda) per andare a fare appunto l’istruttore subacqueo in una piccola isola.

Quello è il mondo decisionale che, alla lunga, conduce al mercato dei disperati, degli opportunity seeker, che oggi impazza su internet, promettendo la via della felicità in pochi giorni.

Ma non è – lasciatemelo dire! – il mondo dei professionisti che hanno una laurea e che hanno studiato per vent’anni per acquisire competenze professionali.

Prima di buttare la laurea nel cesso e indossare una maschera, cercate di capire che ogni giorno indossiamo una maschera diversa e che, se quella attuale non vi piace, potete cambiarla.

Fuor di metafora, sto dicendo che serve un ingrediente, per abbandonare l’orgoglio.

 

La ribellione.

 

Se osservo le caratteristiche che hanno, ad esempio, i due migliori ex studenti di Master Bank dello scorso anno, i finanzialisti dottori Salvatore Cezza e Rocco Di Terlizzi, casualmente entrambi commercialisti e casualmente pugliesi, e che ho convocato nella commissione d’esame per scegliere i futuri loro colleghi finanzialisti nell’esame di fine corso del prossimo anno, trovo proprio questo; la ribellione.

 

Chi obbedisce agli schemi, alle convenzioni, alla società,

ai costumi e alle credenze, in una parola alle consuetudini, è fatto per essere schiavo.

 

Tutti noi abbiamo sbagliato nella vita; io, almeno, come ho confessato, ho sbagliato almeno una quindicina di volte.

Ma non rinnego nemmeno una di quelle scelte, dato che, all’epoca, nell’ hic et nunc di allora, era la scelta giusta.

La scelta va contestualizzata rispetto al momento in cui viene presa.

Quindi, io mando tranquillamente a fare in culo il mio orgoglio, quando cerca di farmi sentire in colpa.

Serve però un animo ribelle per prendere un anno della propria vita e dedicarlo al cambiamento. Io, l’ho fatto più volte; l’ultima, quando ho deciso con il mio socio Massimo Bolla di inventare un progetto di nome WIN the BANK, dedicando ad esso tutte le mie forze.

Crisi o cambiamento?

Nell’etimologia greca, la parola “crisi” ha un complesso significato, che trae la propria origine nel cambiamento.

Quindi, di per sé non ha una connotazione solo negativa, ma anche positiva.

Quante volte ho sentito un amico commercialista o consulente dirmi: sono in crisi?

La crisi può essere il vostro migliore alleato, perché vi dice che non siete più nell’hic et nunc, perché non vi sentite più nel posto giusto al momento giusto. Magari, vi eravate fino a un paio di anni or sono, o anche solo fino a sei mesi fa, ma è innegabile, davanti al vostro specchio, che oggi, ora, non lo siate più.

Dai, non vi devo spiegare queste cose; tutti noi sappiamo mentire a uno specchio.

Solo, non ci conviene farlo.

E’ una scappatoia irrazionale per non mandare al diavolo le regole, l’ordine professionale, i crediti formativi, la schiavitù lavorativa, la lotta sul prezzo. E’ un modo per non discutere magari coi vostri colleghi di studio, decidere di delegare a qualcuno le vostre attuali pratiche per dedicarvi alla consulenza, negoziare coi soci di studio.

Ma, soprattutto, conosco quale sia il principale ostacolo, che non è di certo il prezzo, perché ogni persona di normale intelletto sa che è conveniente investire in ciò che rende denaro.

Eppure, sorgono le domande irrazionali, poste dall’orgoglio.

Di sabato?

Una volta al mese?

Fino a Bologna?

Queste sono le vere difficoltà, che nascondono la vera domanda che spaventa l’uomo non libero delle proprie scelte di vita.

 

Ma cosa dico a mia moglie?

Ragione e motivazione

Esiste una differenza tra il comprendere la ragione di una scelta e il volerla fare.

Per esempio, io posso farvi ragionare sul business plan dell’investimento in Master Bank (si veda articolo “come si compra”) o farvi ascoltare le testimonianze di coloro che quest’anno hanno frequentato il Corso, che sono pubbliche sul blog, qui a fianco.

Posso anche darvi i numeri di telefoni dei vostri colleghi, e potete parlare con loro della loro positiva esperienza, che ha cambiato – per loro pubblica dichiarazione – la loro vita professionale.

Ma non sarà la molla economica a muovere i più.

Certo, il fare più soldi è una motivazione forte, ma non sempre è la principale che ci muove a fare le scelte. Esiste invece una molla che ha spinto me a investire nel progetto WIN the BANK e che parimenti ha spinto tutti i miei ex allievi a venire Master Bank.

Quella molla è qualcosa di difficilmente esprimibile a parole, ma che ha a che fare con la voglia di cambiamento, di realizzazione di sé stessi, di libertà.

Quel qualcosa ha a che vedere con la voglia di riscatto, con il desiderio di mandare al diavolo tante persone che ormai ci stanno strette, di abbandonare rituali, consuetudini e prassi che non ci appartengono più, gesti che non sono più i nostri, umiliazioni che non siamo più disposti ad accettare.

Alla fine, non è solo la ragione a muoverci, ma una motivazione che si trova da qualche parte in un recondito luogo della nostra anima libera.

Un foglio bianco

L’uomo politico rimase a guardare il foglio bianco posato sulla scrivania, scuotendo la testa.

Sapeva che non avrei scritto nessuna cifra; mi conosceva da anni.

“Valerio non sta scherzando, purtroppo.” – mormorò, quasi parlando a sé stesso, con voce piana.

Siamo rimasti amici, a distanza di anni.

Ci sono due pezzi di carta

La nostra vita è fatta, ogni giorno, di due tipi di pezzi di carta.

Fondamentalmente, sono la metafora dei due modi di viverla, quando si tratta di decidere della cosa più cara che abbiamo, cioè la nostra stessa vita.

Il primo, è quello di lasciarla scorrere, e fare bilanci.

Il secondo, è quello di viverla, e fare progetti.

Io, per me, ho scelto.

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