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Commercialista: le tecniche per spiegare (e far capire) al cliente cose complesse

Il Commercialista deve usare un “dialogo professionale”.
Cosa significa “dialogo professionale” con il cliente?

Dopo tanti anni di docenza universitaria in comunicazione finanziaria e in finanziamenti d’azienda, mi sarebbe venuto, come primo istinto, di scrivere, dialogo con “la banca”.

Sarebbe, a una più attenta riflessione, riduttivo.

E’ ben vero che ciò cui penso, quando parlo di dialogo professionale, è una complessa analisi finanziaria di quel complesso di informazioni dato dal bilancio, sia in logica retroattiva, sia in logica prospettica. Mi riferisco cioè non certo ad una banale “analisi del bilancio”; ma ad un complesso e strutturato modello di analisi che in dottrina si definisce “rating sintetico”.

In altri termini, dato che i sistemi coi quali potremmo dover dialogare sono i rating esterni (ma solo se avremo come clienti imprese “corporate” o più probabilmente “large corporate”) o i rating interni delle banche (variamente configurati, per diverse tipologie di banche e dimensioni di impresa, anche piccole o micro), allora dovremo dotare i nostri studi professionali di sistemi di rating sintetici.

Tali sistemi, come noto, hanno ovviamente una minore complessità dei modelli che intendono replicare, ma ne seguono le stesse logiche internazionali. Pertanto, in una accezione ristretta potremmo dire che tali modelli servono a “dialogare con le banche” sotto un linguaggio finanziario.

Tuttavia, dopo tanti anni, riconosco che tale visione è miope.

 

Ecco le ragioni

Prima ragione è perché il modello sintetico, pur avendo finalità di analisi sia retroattiva sia prospettica, può benissimo essere adatto ad altre logiche di comunicazione esterna, per esempio con fondi chiusi o portatori di capitale di rischio in genere, di matrice bancaria e non.

La seconda ragione è perché, in realtà, tale analisi professionale consente al commercialista di svolgere la professione del consulente, e non del “compilatore di bilanci a fini fiscali.”

In tale seconda visione, a prescindere dunque dalla necessità di fabbisogno finanziario, e quindi a prescindere dalle necessità di reperimento di capitale, il libero professionista può benissimo – rectius, a mio parere deve – svolgere un ruolo di consulente aziendale, anche in momenti non coincidenti con quello di approvazione del bilancio.

In tal senso, il ruolo del commercialista non è più quello, a mio parere meno qualificante, della costruzione di lavori derivanti da adempimenti normativi ex post, quanto quello di costruttore di modelli di analisi atti alla vera consulenza aziendale, anche in logica ex ante o predittiva.

Gli equilibri dell’impresa

L’impresa del cliente è in equilibrio reddituale? E’ in equilibrio patrimoniale? E’ in equilibrio finanziario?

Naturalmente esistono due ostacoli, due barriere all’ingresso a tali analisi, utili in qualsiasi momento dell’anno ed anzi sviluppate dalle imprese medie e grandi con continuità, almeno in ipotesi di going concern.

La prima è di tipo cognitivo; se per esempio si pensasse che l’equilibrio economico fosse dato da un differenziale positivo tra ricavi e costi, quali ad esempio l’EBITDA, l’EBIT, l’EBT o il Net profit, vi sarebbe un grave gap cognitivo da recuperare.

Ma, posto che il professionista conosca bene come sviluppare le analisi professionali di matrice finanziaria, rimane il fatto che gli analisti bancari o dei fondi di equity sono dotati di sistemi di rating (sviluppati in tempi lunghi e con investimenti rilevanti), mentre egli parte dotato di una penna, un foglio di carta e una calcolatrice sul tavolo.

In pratica professionale, il mio consiglio è quello di dotarsi invece di modelli proprietari, aperti, strutturati, rigorosi e flessibili al contempo, atti a standardizzare il lavoro e consentire economie di scala tali da remunerare altamente il lavoro specialistico svolto.

Da ultimo, si tratta di far comprendere il valore strategico di queste analisi; problema di comunicazione facilmente superabile avendo a disposizione modelli atti a far emergere all’imprenditore analisi, grafici, tavole di interpretazione della vita aziendale. Non conosco imprenditore che, una volta reso edotto della utilità di tali analisi, sia in termini di spiegazione del pregresso sia in termini di validità predittiva, non se ne sia appassionato, a prescindere dal livello cognitivo e dalla dimensione aziendale.

L’approccio corretto del Commercialista

Il commercialista, con tale approccio, a prescindere dal problema di gestire un financial flow, derivante dal problema di unlevered cash flow negativi, e quindi anche in assenza di problematiche di finanziamento, diventa così un consulente strategico, riappropriandosi del ruolo proprio di consulente vero della dinamica aziendale, da interpellarsi ex ante, prima delle decisioni, e non ex post, con la logica del “dottore, come posson pagare meno tasse”?

Dialogo professionale con il cliente significa, in conclusione, dotarsi di competenze e strumenti atti a far emergere un diverso ruolo rispetto a quello, marginale, di gestore di adempimenti obbligatori, avulsi dalla logica strategica aziendale. Al contrario, il commercialista, proprio per la sua capacità di fornire elementi razionali di analisi numeriche di matrice finanziaria, può tornare ad essere il naturale interlocutore dell’imprenditore, da consultare prima di fare le scelte, e dal quale attendersi non pareri verbali, ma documentati da poderose, rigorose ed articolate analisi di valore.

Valore finanziario, si intende.

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