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Come nasce una impresa

Come nasce una impresa

Quando un imprenditore decide di avviare un’idea, il percorso è chiaro.

E’ quello che nei miei corsi definisco il passaggio NCB: Notaio, Commercialista, Banca. A dire il vero, talora succede il CNB, ma pure invertendo, come in matematica, l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Sempre dal commercialista, si deve passare.

 

L’ERRORE CLASSICO: DIMENTICARE LA “GESTIONE”

Questo offre al professionista una straordinaria opportunità di svolgere consulenza che, di rado, viene colta. Ci si limita, per lo più, all’erogazione di consulenza di tipo societario, contabile e fiscale, non di rado incentrata sugli adempimenti. Più raramente si interviene sulla logica della gestione, dell’organizzazione e della pianificazione, soprattutto finanziaria.

La ragione è che il business plan correlato alla costruzione della start up viene visto, dall’imprenditore, specie se alle prime esperienze, come un adempimento obbligatorio. Non di rado si presenta dal commercialista, in seguito alla costituzione, chiedendo di produrre tale documento perché “Lo chiede la banca”.

A quel punto, esistono molti commercialisti che si prestano al gioco, sostanzialmente per paura di scontentare il cliente, che viene considerato interessante per tutta un’altra serie di motivi, prima di tutto per gli adempimenti fiscali, contabili e societari. Insomma, di mala voglia, spesso sottopagati – il più delle volte gratuitamente – si prestano a “buttar giù due numeri”, come chiede il loro cliente.

Del resto questi, sottovalutando il valore della consulenza, minimizza con un “Ma sì, che ci vuole”?

In termini di comunicazione finanziaria e negoziazione bancaria questo è l’approccio peggiore possibile, sia per l’imprenditore, sia per il consulente.

Così operando, si svilisce il valore della consulenza, da un lato, e si offre un prodotto di scarso valore informativo alla banca, dall’altro.

Ma anche  – il che è più grave – a sé stessi, ai soci.

 

LA FASE I: L’APPROCCIO

Il primo punto dal quale partire è l’approccio.

Quello corretto è decidere chi debba produrre il documento. Per quanto tale opinione sia di minoranza, l’approccio corretto è che il documento, quanto meno in merito ai contenuti, debba essere prodotto dall’imprenditore stesso.

E’ l’imprenditore che deve dare le informazioni, essendo lui sia il depositario dei dati, sia colui che risponderà, in termini giuridici e personali, dell’impresa stessa, che non di rado andrà anche ad amministrare.

Ergo, si deve partire dal dire al cliente che il documento si compone di due parti, una descrittiva e qualitativa, e una quantitativa e numerica.

Entrambe sono importanti, ma la prima – di nuovo, a differenza di quanto pensi la maggioranza – lo è maggiormente. Cioè, occorre produrre – lo dico da ex valutatore di business plan, anche per la parte pubblica  – un robusto documento descrittivo.

Non è affatto pensabile che tale parte debba essere scritta dal professionista, poiché sarebbe proprio errato in termini di pianificazione strategica.

Invece, il professionista deve guidare all’obiettivo – attraverso una serie di incontri mirati – l’imprenditore. L’obiettivo è che l’imprenditore scriva dei testi, secondo un articolato ben preciso e concordato, che andrà ad indicare il professionista, e che sarà poi lo stesso professionista a correggere e valutare. Deve essere il professionista a svolgere il ruolo di “discussant”, cioè di critico, del testo prodotto.

A nulla valgono le obiezioni di chi non è specialista dello start up d’impresa; nelle aziende serie e negli studi professionali si fa così e basta.

LA FASE II: LA PARTE QUANTITATIVA

Per poter svolgere la prima fase, tuttavia, il commercialista non può improvvisare.

Deve conoscere, approfonditamente, la materia della costruzione di un piano di business. Deve possedere una propria architettura mentale, atta a costruire un indice dei lavori, spiegarlo in una o più riunioni all’imprenditore, assistere l’imprenditore in diverse riunioni operative di analisi del testo, sapere come condurlo e soprattutto conoscere le tecniche di pianificazione strategica e la parte di gestione dei gruppi di lavoro.

Dopo, potrà occuparsi della parte quantitativa.

Anche qui, il lavoro deve essere svolto dall’imprenditore.

Poiché egli possa lavorare, il commercialista deve però avere un proprio piano di lavoro e trasferire al cliente metodologie, modelli e strumenti di lavoro stesso.

Tra questi, i principali sono:

  • La costruzione del budget ricavi
  • La costruzione del budget dei costi variabili
  • La costruzione del budget dei costi fissi
  • La costruzione del budegt del costo del lavoro
  • La costruzione del budget degli investimenti

In pratica, si dovrà trasferire al cliente cinque diversi modelli di lavoro, generalmente prodotti con un foglio elettronico, in modo che l’imprenditore o gli imprenditori si esercitino autonomamente (a casa) in esercizi di tipo “what if”.

Questo significa prevedere una serie di incontri nei quali verificare e correggere l’operato autonomo degli imprenditori. Come è evidente, l’intero processo può comportare – e di regola comporta – diverse ore di consulenza, prima di preparazione e poi di validazione dei risultati, su modelli prodotti dal commercialista stesso.

Per poterla effettuare in questo modo, occorre però disporre di 2 cose:

  • metodologie di lavoro pianificate
  • strumenti professionali

Altrimenti, è impossibile; non si più improvvisare.

 

FASE III: LA COSTRUZIONE DEL DOCUMENTO FINALE

Solo a questo punto è possibile svolgere la terza fase, quella cioè della costruzione del documento finale. Solo questa è svolta dal commercialista in studio, usando gli strumenti consegnati al cliente e da questi restituiti, debitamente compilati, al professionista.

Per svolgerla, è necessario però che gli strumenti professionali di questo, e quelli semplificati forniti al cliente, dialoghino secondo metodologie e schemi concettuali già stabiliti e programmati.

Così facendo, sarà più semplice per il commercialista costruire il business plan, poiché sarà un processo industriale, simile a quello di una “catena di montaggio” di parti, che lascerà al professionista la parte più qualificante e professionale.

Essa sarà la costruzione dei conti economici, degli stati patrimoniali e dei flussi di cassa, con molteplici schemi, atti a rappresentare la dinamica della gestioni su più esercizi e, soprattutto, a costruire e verificare la sostenibilità in termini di equilibri patrimoniali, economici e finanziari, anche in termini di equilibri tra fonti di finanziamento proprie e finanziarie di terzi.

Questo, dal lato quantitativo.

Da quello qualitativo, sarà la spiegazione, il commento e l’analisi descrittiva dei risultati, secondo modelli e schemi professionali.

Naturalmente, anche per questa terza fase il professionista dovrà disporre sia di metodologie consolidate, sia di strumenti professionali che dialoghino tra loro e con gli strumenti consegnati al cliente.

CONCLUSIONI: COME NASCE UNA IMPRESA

Questa metodologia è quella che consente al commercialista di assistere un imprenditore in sede di avvio societario dal punto di vista professionale. Non ha nulla a che vedere con l’improvvisazione, e necessita di tecniche consolidate, testate e verificate in numerosi casi. Solo così si massimizza da un lato il valore della consulenza e, dall’altro, si responsabilizza l’imprenditore alla costruzione del modello.

Conosco le obiezioni, sterili e futili, circa la non disponibilità o l’incapacità del cliente, di solito di piccola dimensione e senza esperienza, a collaborare alla stesura del piano.

Vent’anni di esperienza come consulente e valutatore di piani d’impresa in start up mi consentono di dire che sono le obiezioni irrilevanti di chi non ha alcuna esperienza professionale in tal senso e che, pertanto, non sa gestire chi non ha esperienza aziendale.

Al contrario, se ben guidato da chi abbia le tecniche sopra richiamate e gli strumenti operativi per applicarli, l’imprenditore è assolutamente collaborativo e – di solito – ampiamente soddisfatto dalla consulenza e entusiasta di svolgere il lavoro che gli viene assegnato. Lo è perché si appassiona di quel metodo di lavoro, che gli consente davvero di misurarsi con la propria creatura, alla quale, per primo, dovrebbe essere interessato.

Se da un lato questo aumenta enormemente il valore riconosciuto della consulenza in fase di start up, dall’altro ne deriva che il correlato prezzo sale.

Se avete l’impressione che tutto quanto sopra descritto non sia applicabile alla realtà, è perché non disponete di tale metodologia e quindi non venite percepiti dall’imprenditore come soggetti in grado di offrire consulenza di valore, ma come soggetti ai quali rivolgersi per un adempimento obbligatorio, meccanico e di scarso rilievo.

Sta a voi, e non al cliente, far percepire il valore e l’importanza del vostro lavoro, che ovviamente non può essere improvvisato, ma costruito nel tempo, mediante la definizione di procedure, tecniche, metodologie e strumenti operativi molto precisi e testati.

Di certo, non vorrete improvvisare con il vostro cliente, con il rischio di perderlo anche per altri settori di consulenza.

Ma immaginate ora di avere tutto quanto sopra descritto, in una procedura codificata e con gli strumenti operativi, sia di parte descrittiva, sia di parte quantitativa, immediatamente disponibili, sia per la vostra parte sia per quella del candidato imprenditore.

Allora, le cose cambiano radicalmente, perché il vostro valore cambia.

E’ di tutta evidenza all’imprenditore che, tale valore, debba essere adeguatamente remunerato con il pagamento di una adeguata parcella professionale una tantum, specifica per questa assistenza, che rappresenta il momento topico della vita della propria impresa: la nascita.

 

 

 

 

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